SUA ALTEZZA ZONCOLAN DIRÀ LA VERITÀ
Oggi la salita più dura del Giro d’Italia
«Ovaro, cazzo. Siamo soltanto a Ovaro». Non scandalizzatevi, è una citazione. Ricalca la prima battuta di «Apocalypse now», quando il capitano Willard, già stanco del viaggio che l’ha portato «soltanto» a Saigon, deve ancora immergersi nel cuore di tenebra che lo porterà al colonnello Kurtz. Saigon, in quel film indimenticabile, è la porta d’accesso a un orrore infinito. Ovaro, ridente paesino carnico, è la porta d’accesso a una fatica insensata, l’ascesa dello Zoncolan, dieci interminabili chilometri con una pendenza media del 12 per 100, e punte del 22. L’ho vista due volte. La prima in elicottero, che per quanto volasse radente gli alberi restituiva sensazioni imperfette, più paesaggistiche che umane. La seconda, su una macchina del Giro, fu tutt’altra cosa: perché lì, a contatto quasi fisico con i corridori, ti rendi conto che una pendenza del 22 per 100 è il modo più impietoso di fare i conti con se stessi. Pedalo ancora o mi fermo? Cosa si aspetta da me il capitano? Ma i miei figli lo sanno a quale prezzo porto a casa ogni giorno il pane? Vincere, perdere, finire soprattutto. Ma quanto manca al traguardo, che nelle gambe non c’è più nulla?
Molti anni fa i Led Zeppelin composero una canzone che è entrata nella storia della musica: «Stairway to Heaven», la scalinata per il paradiso, lenta e dolente e poetica come la salita sul monte - montagna sarebbe troppo, e poi è una parola dal suono dolce: e qui di dolce non c’è niente - che tutti i ciclisti temono, pur venendone attratti in modo irresistibile. Ecco, lo Zoncolan è la prova estrema che ciascuno di noi aspetta nella vita chiedendosi se ne sarà all’altezza. Una prova di coraggio, perché chi è indietro come Aru e Froome dovrà attaccare come se non ci fosse un domani; una prova d’intelligenza perché Yates dovrà gestirsi fra il controllo della tappa e la tentazione di dare un’altra botta a chi non si è ancora staccato in classifica; una prova di resistenza, perché Dumoulin dovrà reggere la sfida in attesa che la sua cambiale - la crono di martedì - arrivi a scadenza. E in cima c’è il paradiso, certo: qualsiasi conclusione di una fatica del genere non può che essere un premio inestimabile. Paradisiaco. Centomila appassionati lungo i tornanti della salita più dura, più bella, più carogna vi sembrano troppi? Diecimila più diecimila meno, quelli saranno. Anzi, sono: perché mentre state leggendo questa dichiarazione d’amore per il ciclismo, quelli stanno salendo in bici, a piedi, rapidi e leggeri oppure pesanti e maledicenti. Eppure salgono, perché il concetto di condivisione ha radici più profonde dei social network, e non c’è fatica che un incitamento al tornante giusto non sappia lenire. Forza, il traguardo è dietro quella curva. Non è vero. Ma se ti volti e guardi in basso, Ovaro finalmente è lontana.