La Gazzetta dello Sport

Seedorf «NESSUNO COME IL REAL ZIZOU SUPER E BRAVO RINO»

L’EX TECNICO DEL MILAN È RETROCESSO A LA CORUÑA ORA CERCA UN PROGETTO «PER CRESCERE ANCORA»

- Filippo Maria Ricci

CORRISPOND­ENTE DA MADRID

Iniziamo dalla fine. Clarence Seedorf in febbraio arriva a La Coruña come terzo allenatore della stagione, la squadra migliora sotto tanti aspetti però il miracolo della salvezza non si compie.

«Sono stati mesi molto belli a livello lavorativo e di rapporti con giocatori, club, tifosi. Ovviamente c’è la delusione per la retrocessi­one però fa parte del calcio. Il contratto scade ora, l’ambiente è contento per il lavoro che ho svolto e la gente vorrebbe che restassi ma con la società non abbiamo ancora discusso nulla di concreto. Anche io mi sto guardando intorno ed è tutto aperto».

Resterebbe anche in Segunda?

«Io guardo il progetto, la categoria non conta. Sono importanti le persone e la chiarezza degli obiettivi. Di certo c’è solo che voglio allenare e penso di aver dimostrato di aver la stoffa per farlo ad alto livello. Ho in mente solo la panchina e cerco un progetto che mi permetta di continuare il processo di crescita».

Dopo l’esperienza al Milan è stato in Cina e poi di rincorsa al Deportivo. Dall’Italia non sono arrivate altre proposte?

«Diciamo che la sorpresa più grande per me è stata l’esonero dal Milan. Da lì nulla mi ha colpito allo stesso modo».

In Italia non ci sono tanti allenatori stranieri. È una casualità?

«Non credo. Tutti i paesi cercano di proteggere i propri tecnici».

Però in Spagna e in Inghilterr­a ci sono parecchi tecnici internazio­nali.

«Forse nei Paesi che ha citato sono più alla ricerca dell’eccellenza e non solo della protezione dei tecnici locali, hanno una mentalità più aperta. Sono campionati che cercano il meglio e i club dovrebbero fare lo stesso: a volte il meglio ce l’hai in casa, altre devi andare a cercarlo fuori».

E già che siamo in tema, ci sono tantissimi giocatori di colore ma gli allenatori sono pochissimi. Di nuovo, la considera una casualità?

«No. La mancanza di pari opportunit­à è un problema sociale che riguarda il mondo in generale a vari livelli. Conosco tanti casi di persone, nel calcio e non, che nonostante abbiano le qualità per far bene il proprio mestiere non ricevono l’opportunit­à di poter fare nemmeno un colloquio di lavoro. Non vengono cercate, non ci sono spiragli».

Come ha visto la stagione del Milan e l’arrivo di Gattuso?

«Penso che Rino abbia fatto un buon lavoro, ha una testa da vincente e ha avuto un impatto positivo sulla squadra. È stata importante la grande unione con la società che gli è stata vicina nei momenti difficili».

A cosa si deve il dominio della Juventus?

«Non mi aspettavo che vincessero ancora, soprattutt­o consideran­do l’equilibrio della prima parte della stagione. Poi le distanze si sono allungate e ha resistito solo il Napoli che ha fatto una stagione fantastica ma al quale rispetto alla Juve manca qualcosa: la mentalità vincente».

Cosa l’ha colpita di più della Liga, da allenatore.

«Non parlo di livello tecnico o tattico perché conoscevo già il calcio spagnolo. Cito lo standard che la Liga richiede ai club: il campo, l’erba, la cura dello stadio, le presenze dei tifosi e altre cose destinate ad aumentare la qualità del prodotto, dello spettacolo. Lavorano per migliorare l’organizzaz­ione dei club, e questo aiuta il calcio spagnolo a crescere: negli ultimi anni stanno dominando».

Col Madrid come portabandi­era.

«E’ la squadra più forte del mondo, e il club più grande del mondo. Un motivo ci sarà: mentalità vincente, abitudine a provarci e crederci sempre, la fame che riescono a mantenere anno dopo anno nutrendo la propria ambizione. Ovviamente il tutto è abbinato a grandi mezzi. Quest’anno c’erano squadre superiori al Madrid, ma in finale ci sono loro».

Che idea si è fatto di Zidane?

«Ha fatto un ottimo lavoro in termini di coesione del gruppo e della squadra. Il grande impatto che ha avuto subentrand­o a Benitez è stato quello di creare con giocatori di quel livello un’armonia che sembrava perduta. Poi ottenendo risultati immediati ha aumentato rapidament­e la propria credibilit­à. Si merita grandi compliment­i. E un’altra cosa: è un allenatore che non aveva esperienze in panchine di grande livello e che sta scrivendo la storia del calcio, i presidenti dovrebbero riflettere sull’argomento».

Secondo lei Mancini è la persona giusta per l’Italia?

«L’hanno scelto, quindi è l’uomo giusto. Ha grande esperienza, è sicurament­e motivato e come chi l’ha scelto avrà una gran voglia di costruire nuovamente un’Italia competitiv­a».

Come si risolleva il calcio italiano?

«Ci vuole un piano, e che sia condiviso da tutte le parti del sistema. Più che dare delle risposte io mi farei delle domande. L’Italia conosce la propria identità? Perché io mi sorprendo quando vedo che si guarda ad altri Paesi per copiarli quando l’Italia ha vinto quattro Mondiali. Penso che uno debba partire dai propri punti di forza e poi andare a mettere mano a quelli deboli. Ultimament­e l’Italia non sta più producendo talenti difensivi, e la difesa è sempre stata una colonna portante per il calcio italiano. Quando sono arrivato in Italia a 19 anni c’erano almeno 12 squadre che potevano mandare difensori in nazionale. E lo stesso valeva per gli attaccanti. Credo sia importante sapere chi sei, rispolvera­re la propria identità e da li ricomincia­re a lavorare su ciò che ha fatto dell’Italia una potenza del calcio. Rigore tattico, non mollare mai, grande difesa, un ottimo portiere, attaccanti pericolosi: chi affronta l’Italia si aspetta questo, da sempre. E per questo la rispetta. È inutile copiare la Spagna se non sei la Spagna».

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CLARENCE SEEDORF SU ZINEDINE ZIDANE

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