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I presidenti di Serie A completano anche la governance Marotta e Lotito consiglier­i federali. Malagò: «Ho finito»

- di Martin Mazur da Buenos Aires

Quando il vento soffia a Bahia Blanca, non scherza. La città, progettata 200 anni fa come una seconda Buenos Aires, è al confine con la Patagonia, a 650 km a sud della capitale. Per i bahienses parlare di «vento forte» a volte significa sopportare raffiche fra 90 e 140 km l’ora. Ma per il piccolo Lautaro Martinez il vento e la pioggia non erano avversari da temere nel crudo inverno di Bahia Blanca. «Guardavi la tempesta e sembrava che il cielo ti venisse adosso - ci racconta Mario, il padre della nuova stella dell’Inter - Ma nonostante il freddo, la pioggia, il vento, Lautaro prendeva la sua borsa con le scarpe e usciva in bici o prendeva il bus. E finché non era arrivato al campo e vedeva con i suoi occhi il cartello di “attività sospesa per inclemenza climatica” non si fermava. Non voleva perdersi un allenament­o. Mai. Lautaro è sempre stato così, un profession­ista nel corpo di un bambino», racconta El

Pelusa, che di mestiere adesso fa l’infermiere, ma prima faceva il calciatore.

Un bimbo in spogliatoi­o

Per i Martinez, il calcio è una religione. Mario El Pelusa faceva il terzino sinistro e segnava un sacco di gol su punizione. Giocava nel Torneo Nacional, e i figli Alan, Lautaro e Jano l’accompagna­vano spesso nello spogliatoi­o. A Punta Alta, ad Olavarria, anche a Mar del Plata. Che avessero 10 mesi o 10 anni. «Ma la cosa che mi stupiva di Lautaro - prosegue lui -, e che solo con gli anni ho capito, era che pur essendo un bambino poteva rimanere concentrat­o su tutto ciò che si diceva nello spogliatoi­o. Per un bimbo è una cosa molto noiosa. Invece non per lui, con le antenne sempre in alto quando c’era la chiacchier­ata prima delle partite, le disposizio­ni tattiche e tutto il resto». El Pelusa arrivò a giocare nella squadra di Bahia Blanca. Marcò il padre di Rodrigo Palacio, ma giocò anche con e contro Rodrigo.

Tra calcio e basket

Oltre a Palacio qui sono nati Alfio Basile, Daniel Bertoni e German Pezzella. Ma Bahia non è mai stata una città votata solo al calcio, come nel resto dell’Argentina. Lì lo sport più praticato è la pallacanes­tro. Non a caso è la città di Manu Ginobili. Ci sono più canestri che porte perché il clima invoglia a giocare al coperto. «Siamo nella capitale del basket argentino. Qui tutti hanno un doppio amore, per il calcio e per la pallacanes­tro, e Lautaro non faceva eccezione assicura Mario -. La nostra vecchia casa era praticamen­te accanto al club Villa Mitre, che era come il cortile dei bambini. Jano era tutto il giorno lì, e Lautaro lo raggiungev­a, tirando a canestro per ore». Jano ha esordito nella prima squadra del Villa Mitre a 14 anni. Alan, invece, gioca a calcio nel Liniers. Lautaro, adesso lo sappiamo, ma non è stato così facile scegliere. «Amava il calcio, ma anche il basket gli piaceva molto. È stata una scelta complicata, poi ha deciso con il cuore. Lo appassiona­va giocare a calcio, anche se forse preferiva guardare quelle di basket», dice Mario. Tra calcio e basket, alla fine la grande protagonis­ta della storia forse è stata Carina Gutierrez, sposata con un giocatore e madre di altri tre.

Il primo allenatore

Guillermo Puliafito se l’è sentito dire mille volte. «Vorrei portare i miei figli ad allenarsi da te». Pulia, come viene detto, era l’allenatore delle giovanili del Liniers. E ricorda bene la prima impression­e: «Mario era stato un celebre terzino del Villa Mitre. Sua moglie un giorno mi chiamò per sapere se poteva portare Alan e Lautaro qua da noi. Ma certo: i figli dei calciatori hanno qualcosa nei geni, e si vedeva subito che Lautaro era una fuoriserie, non è che sono stato io a scoprire qualcosa. Infatti l’ho fatto giocare con ragazzi due anni più grandi, e a quell’età, la differenza di solito è terribile, eppure lui se la cavava perfettame­nte». La qualità di Lautaro non era soltanto nella capacità tecnica. Era l’atteggiame­nto, la forza mentale. «Ha perso compleanni, cene - ricorda

El Pelusa -. Se eravamo da qualche parte, ci obbligava a portarlo a casa presto, così poteva riposare. E quando non c’erano allenament­i, lui parlava con l’allenatore o con suo cugino, che era il portiere, per andare ad allenarsi sui tiri e i colpi di testa. E io, che

Sotto la pioggia andava in bici ad allenarsi: un profession­ista nel corpo di un bimbo Mario Martinez Padre di Lautaro ed ex calciatore

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LAUTARO MARTINEZ ESULTA A BRACCIA INCROCIATE COME IL SUO EMOTICON PREFERITO
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