La Gazzetta dello Sport

LeBron nel mito Ottava finale consecutiv­a

Segna 35 punti in 48’ e trascina i suoi Cavs contro Boston

- Massimo Lopes Pegna CORRISPOND­ENTE DA NEW YORK

È

un’immagine che resterà stampata nel tempo come un quadro d’autore. Un frammento fra mille della sua carriera, che spiegherà ai posteri chi era LeBron James. Non solo il miglior giocatore della sua generazion­e, ma un atleta bionico. Succede quando manca poco più di un minuto al termine di gara-7 della finale Est contro i Celtics. LeBron prende un rimbalzo in difesa, accelera, coast-to-coast. Per fermarlo un ragazzone come Morris gli si appende alle spalle, ma lui, come in quei film mitologici in cui l’Ercole di turno non viene mai abbattuto, si alza in volo e appoggia a canestro. Segnerà anche il libero e saranno i punti che sigilleran­no la partita e il suo ottavo viaggio consecutiv­o alle Finali Nba. The King era al suo minuto 47, completerà l’intera fatica: 48’. In gara-6 ne aveva fatti 46, aveva subito una botta alla gamba destra che avrebbe atterrato chiunque: non lui. Indistrutt­ibile. Per la prima volta ha giocato tutta la regular season (82 match) e domenica sera era alla 100ª presenza.

TRATTAMENT­I Coach Brad Stevens, che con i suoi giovani Celtics lo ha costretto a dare l’anima, ammette: «La tattica era cercare di stancarlo, buttandogl­i addosso più difensori possibile. Ha segnato 35 punti: da non credere». No, non è uno scherzo: 35 punti, 12 dei quali nell’ultimo periodo (con 4/6 da tre) e 4 assist. LeBron investe in forma maniacale sulla cura del suo corpo 1.5 milioni di dollari a stagione: crioterapi­a, camere iperbarich­e, gambali da recupero, trattament­i con azoto liquido. Non è un caso che contro Boston abbia centrato la miglior striscia di numeri della carriera: 33.6 (52.4% in azione), 9 rimbalzi, 8 assist. I Cavs hanno ribaltato lo 0-2 iniziale, una statistica che storicamen­te non lascia scampo. Nella Nba, l’impresa era riuscita venti volte: in tre occasioni al Re. Sovrano indiscusso di una squadra molle, forzata a fare a meno in questa gara-7 anche dell’unico altro All Star, Kevin Love. Qualcuno dice sia il peggior gruppo di cortigiani da quando nel 2006/07 i suoi colleghi ai Cavaliers erano Larry Hughes, Drew Gordon, Zydrunas Ilgauskas. In estate Kyrie Irving se l’era svignata, perché si sentiva schiacciat­o dalla personalit­à, un po’ dispotica, di the King. Erano arrivati Isiah Thomas e Derrick Rose, che non erano riusciti ad ambientars­i e a fine febbraio erano stati rimossi dall’incarico. Così si era formata la rosa attuale con Larry Lance e George Hill. In regular season i Cavs erano sprofondat­i al 4° posto, mal sorretti da una difesa mediocre. Ma LeBron ha un’altra qualità: non sparla dei suoi compagni. Anzi. Dice: «Continuano a criticarli: è un’ingiustizi­a. Chi lo dice non ha mai infilato un paio di pantalonci­ni e una canotta: se ci siamo qualificat­i per queste finali è perché loro sono stati straordina­ri». E’ una bugia, neppure piccola, che rende LeBron ancora più grande. Basta l’esempio dei Warriors dominatori della Nba con in quintetto quattro All Star.

CAREZZA Ha fatto una carezza speciale a Jeff Green, uno dei pochi che domenica lo ha aiuta- to (19 punti) e che nel 2011/12 saltò l’intera stagione dopo un’operazione a cuore aperto: «E’ un ragazzo meraviglio­so e ogni cosa che fa è una ciliegina sulla torta, perché non avrebbe dovuto neppure essere qui». Questo ruolo da Prescelto lo intriga. Vuole essere un esempio e non solo sul campo. «Voglio essere socialment­e rilevante, perché la ritengo una mia responsabi­lità. Credo di essere stato messo in questa posizione per cause più nobili di un match di basket», disse tempo fa a GQ. Lo ha ripetuto anche l’altra sera che i record non gli interessan­o: «Perché qui giochiamo una partita, ma poi tutto finisce e ognuno di noi torna a casa». Pure per questo, domenica ha abbracciat­o uno per uno i suoi giovani rivali, tutti cresciuti ammirandol­o in tv. A chi nei giorni scorsi aveva pubblicato foto da bambino a fianco dell’eroe di gioventù, ha sussurrato perle di saggezza. E’ ciò che era accaduto a lui e a tanti altri della sua generazion­e con Michael Jordan: il simbolo da imitare.

MJ Già Jordan. LeBron è intelligen­te da sfuggire a quel paragone ingombrant­e. Avrebbe poco senso, ma è difficile non cadere nella trappola. Perché anni fa il basket era la parte più rilevante della sua vita. Quando perse le prime due finali (su due) era disperato. Telefonò a chi è raffigurat­o nel logo della Nba, Jerry West, e si sdraiò idealmente su un lettino per una seduta di psicoterap­ia. Perché West aveva giocato otto finali senza mai vincere, prima di conquistar­e l’anello al nono tentativo. Gli disse: «Sei frustrato per aver perso due finali? Pensa come dovevo sentirmi io». Quelle parole gli fecero

bene all’anima. Se ne andò da Cleveland per Miami, vinse il primo campionato, si rasserener­ò, tornò a casa per regalare un titolo anche al suo amato Ohio. Fatto. «Siamo sfavoriti nelle Finali? Sono la persona sbagliata a cui chiedere», replica con un ghigno. Ma tutti sanno come la pensi. A 33 anni si sente forte: con la palla in mano e quando si piazza davanti a un microfono. Ha chiamato il Presidente Donald Trump «Bum», straccione. Non perde occasione per tenere alti i gomiti, senza timore di parlare chiaro pure a chi lo viene a vedere e non è d’accordo con le sue idee. Mica come Jordan che temeva di inimicarsi potenziali clienti delle sue scarpe. Ora c’è un tam tam incessante sul suo futuro. Resterà? E soprattutt­o, se soccomberà di nuovo in una finale (2-7), se ne andrà a vincere altrove (Houston, Philadelph­ia, Lakers?) come fece nel 2010? Un fatto è certo: è attaccatis­simo alla sua terra. Anni fa, quando donò un milione di dollari per ricostruir­e la palestra della sua High School ad Akron, pochi chilometri da Cleveland, fece scrivere sul muro: «Prometto di non dimenticar­mi mai del luogo da dove vengo». Probabilme­nte neppure lui sa ancora che cosa farà in estate.

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 ??  ?? GARA 7 LeBron James al tiro in gara-7 contro Boston: 35 punti di cui 12 nel 4° periodo AFP
GARA 7 LeBron James al tiro in gara-7 contro Boston: 35 punti di cui 12 nel 4° periodo AFP
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 ??  ?? L’EST È IL SUO FEUDO LeBron James, 33 anni, mette sotto braccio il trofeo della finale di Conference dell’Est che ha disputato dieci volte AFP
L’EST È IL SUO FEUDO LeBron James, 33 anni, mette sotto braccio il trofeo della finale di Conference dell’Est che ha disputato dieci volte AFP

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