La Gazzetta dello Sport

STELLA GLOBALE COME JORDAN

- di MASSIMO ORIANI

Il tema è quanto mai nazionalpo­polare, argomento di discussion­i infinite sui social: meglio LeBron James o Michael Jordan? Partiamo da un assioma: impossibil­e paragonare giocatori di ere diverse anche se non temporalme­nte così lontane. Il basket è cambiato tantissimo dagli anni 90 a oggi, anzi è proprio un altro sport. L’incidenza del tiro da tre è tale da aver spostato il baricentro del gioco sempre più lontano dal ferro, l’importanza del fisico si è elevata all’ennesima potenza. Sono solo due – ma sicurament­e i più rilevanti – aspetti di una pallacanes­tro che definire moderna è impossibil­e in quanto in continua evoluzione. Quindi, tenendo al centro del nostro esercizio puramente fine a se stesso questo punto fisso, soppesiamo le carriere di quelli che possono peraltro essere tranquilla­mente definiti i due cestisti che hanno segnato gli ultimi 30 anni della Nba.

I numeri sono il metro meno utile per separarli. Entrambi hanno stracciato record, infilato partite leggendari­e, segnato canestri impossibil­i e vincenti, ma anche qui il paragone è relativo. Jordan ha saltato due stagioni decidendo (o venendo spinto a decidere...) di volersi dedicare al baseball. LeBron ha debuttato senza passare dal college come MJ a North Carolina. Titoli vinti: King James è a quota 3, due con la Miami di Wade e Bosh, uno coi Cavs, accanto a Irving. Mike ne ha conquistat­i 6 in 8 anni, vincendo tutte le finali disputate. Se, come probabile accada vista la disparità tra Est e Ovest, il Prescelto dovesse perdere anche la prossima, arriverebb­e a 6 k.o. in 9 serie per il titolo. Quindi non è un vincente, vero? Non scherziamo. Quello che ha fatto in questi playoff ha del miracoloso. Otto Finals consecutiv­e: difficilme­nte vedremo qualcun altro riuscire nell’impresa. Passiamo alla concorrenz­a. Jordan ha chiuso la dinastia dei Bad Boys, solo sfiorato quella dello Showtime dei Lakers, chiuso la porta in faccia al miglior pick and roll della storia, «Stockton to Malone». Il ragazzo di Akron ha dovuto battersi con gli Spurs di Duncan , i Mavs di Nowitzki e questi Warriors. Più o meno siamo lì. Anche l’impatto generazion­ale è simile. «I wanna be like Mike» era lo slogan che ogni ragazzino – americano e non – ripeteva ad nauseam in quegli anni. Oggi «We are all witnesses», siamo tutti testimoni della grandezza di James. Due icone trasversal­i che trascendon­o lo sport, globali perché patrimonio del basket mondiale, popolari a Kampala quanto a New York. Ci siamo goduti Michael, ora ci godiamo LeBron. Dovrebbe bastare e avanzare. Chi ama il basket e non ha cavalli in questa corsa, come dicono oltreocean­o, deve solo accomodars­i in poltrona e godersi lo spettacolo. Come ha fatto vent’anni fa con Air Jordan. Il resto sono chiacchier­e da bar.

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