Tennis Fognini, Cecchinato e Berrettini ok a Parigi
●Ora Edmund: «Ma la Next Gen è una cavolata. Nadal a 19 anni vinceva gli Slam»
Un altro mondo. Un altro secolo. I berlinesi camminavano ancora sotto il Muro quando tre italiani disputavano insieme il terzo turno del Roland Garros. Correva il 1989 e snocciolare quei nomi non racconta solo di un pezzo di storia, ma mette pure qualche brivido: erano Pistolesi, Camporese e Cancellotti. Eroi di un’epoca che spesso ci è toccato rimpiangere.
TRE GENERAZIONI I tempi, tuttavia, possono cambiare. E un’altra tripletta, 29 anni dopo, apre finalmente i cuori a una seppur tiepida speranza, rammentando che in ogni caso negli Slam, tra gli uomini, non vinciamo un titolo da Panatta (qui, nel 1976) e non festeggiamo una semifinale da 40 anni giusti (Barazzutti, sempre a Parigi, 1978). Però è bello, per un pomeriggio, celebrare tre generazioni tricolori diverse ancora protagoniste nel tempio della terra: dopo quella più fresca di Berrettini e quella di mezzo di Cecchinato (Fabbiano invece cede a Coric), non poteva mancare la più stagionata e blasonata con il suo uomo simbolo, Fognini, il nostro numero uno. Altro match in carrozza, tre set con il pilota automatico contro il giovane (22 anni) svedese d’Etiopia Ymer, 122 del mondo, buoni fondamentali ma scarso controllo, anche delle emozioni, tanto che a partita compromessa proverà a metterla un po’ sulla rissa, senza trovare sponda in un Fabio presentissimo a se stesso. E che già pregusta un bell’incrocio con un altro prodotto della nuova nidiata, il britannico Edmund, ben più solido e lanciato e anche avanti di un posto in classifica (17 contro 18): «Se posso dirlo, la Next Gen è una cavolata, non sono d’accordo su tutte le attenzioni che vengono rivolte a questi ragazzi: Nadal a 19 anni vinceva gli Slam. Il rispetto te lo meriti con i successi e io so di dover affrontare un avversario tosto e forte a prescindere dalla pubblicità che gli fanno. Ma mi sento bene e sto giocando bene, sarà una sfida cinquanta e cinquanta».
INVESTIMENTI
Fabio non sei più solo, però. E’ il messaggio che arriva da Parigi, dopo i primi scintillii di Roma, e che naturalmente avrà bisogno del conforto dei risultati per tutta la stagione. I nuovi italiani, insomma, non rappresentano più un’entità astratta, un ricambio che esisteva solo nel paradiso delle illusioni, e la concorrenza interna stimolerà: «E’ importante - analizza Corrado Barazzutti, c.t. di Davis - che si sia creato un gruppo capace di trovare nella sana competizione e nell’esempio degli altri una spinta per crescere e maturare». Perché emergere, nel tennis, è più difficile che rimanere in alto quando ci si è arrivati. Secondo una recente ricerca a tutti i livelli (Atp, Wta, Challenger, Futures e Itf), sono circa 14.500 i giocatori professionisti nel mondo, e la metà non ha mai guadagnato neppure un dollaro di montepremi. Anzi, secondo questi dati il 96% di loro è in passivo. La federazione britannica, dal canto suo, ha stimato che dai 5 ai 18 anni d’età la famiglia di un figlio tennista debba spendere circa 300.000 euro per l’attività nazionale e internazionale. Da noi, mantenere un giocatore fino alle soglie del professionismo costa ai genitori dai 10 ai 15.000 euro all’anno, ed è evidente che di fronte a queste cifre servano importanti sussidi federali. Nel passato anche recente ci sono stati errori e scelte confuse, ma il Settore Tecnico adesso è uno dei cardini del progetto Fit, che l’anno scorso ci ha investito 6 milioni e mezzo. Uno degli elementi fondanti è l’aiuto agli over 18, affidati a Rianna e Volandri: la Federazione paga a 16 giocatori (tra uomini e donne) le spese per campi, coach e trasferte, deducendole poi dal prize money, garantendo perciò una programmazione più mirata e di respiro internazionale. Se son campioni, fioriranno.
LA CHIAVE
La Federazione aiuta gli over 18: paga 16 giocatori tra uomini e donne
Spese per campi, coach e trasferte, deducendole poi dal prize money