La Gazzetta dello Sport

Dentro al cuore d’Islanda «Sognate col nostro Húh»

●I Tólfan sono il gruppo che spinge la Nazionale tra canti e non violenza: «Noi e la squadra siamo lo stesso fuoco: vogliamo restare umani e divertirci»

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dsson –. Veniamo da un posto lontano in cui fa sempre freddo ed è difficile emergere: i nostri ragazzi sono come noi, lottano senza mai arrendersi». Uno, il vichingo barbuto che a fine partita guida sempre la festa, è diventato il simbolo di tanta passione: «Guardate il capitano Aron Gunnarsson, ha dentro il nostro stesso fuoco: chiedetegl­i se preferireb­be giocare nel Real o nella sua nazionale...», continua la macchina del ghiaccio. I tifosi al pub stanno tutti aspettando che coach Hallgrímss­on, il dentista che ha estratto il coraggio dalla squadra come faceva con i canini, venga a dare la formazione prima dell’amichevole con la Norvegia. A questo punto turisti e curiosi sono obbligati al passo indietro: camere spente, telefonini in tasca. «È uno spazio “nostro”, privato: un momento di fiducia reciproca che non deve essere rovinato», aggiunge un altro Tólfan, Hilmar Jökull. Anche lui sorride, ma meglio dargli retta: chi prova a registrare, rischia di essere incornato da qualche vichingo mascherato.

IL BRINDISI Non c’era questa magia un tempo, poi è arrivato il tifo e tutto è cambiato: i Tólfan sono nati nel lontano 2007, ben prima degli ultimi trionfi, ma solo dal 2013 il gruppo si è dato una struttura organizzat­iva. Anche grazie a un illuminato svedese. «È Lars Lagerback, il c.t. che ci ha portato all’Europeo, ad aver accesso la scintilla: ha dato voglia di partecipar­e alla gente», racconta ancora Jonsson, tra i 1.500 circa che andranno in Russia. Lui, però, non ha ancora presto il biglietto di ritorno: meglio non fare previsioni quando di mezzo c’è capitan Aron. Il resto del Paese palpiterà da casa, insieme, perché in Islanda nessuno chiude le porte a nessuno: «Chiunque ami il Paese, voglia godersi la vita e voglia restare umano, è benvenuto nel nostro gruppo», aggiunge. Non conta l’età, nel pub battono le mani pure bimbi di sei anni. Il più pittoresco, però, è il vecchio Ámundi, detto «Old Fox». Ne ha quasi 70, allo stadio scioglie lunghi capelli bianchi e impugna uno scudo. Pare un antico guerriero vichingo: «Faccio paura? – scherza – Ma qua nessuno ha mai alzato un dito contro nessuno. Con gli avversari ci piace brindare...». Ecco, su questi tavoli non manca mai la birra, a prezzi assai alti per i non-islandesi. Una volta, però, l’astinenza fu dovuta a troppa gioia: «Quando abbiamo battuto l’Inghilterr­a a Euro 2016, nessuno è riuscito a far festa. Eravamo paralizzat­i. Dicevamo: “No, non è possibile”». AL 12ESIMO Invece, qua al Nord tutto di colpo è possibile: gli Strákarnir okkar, «i nostri ragazzi», come gli islandesi chiamano l’amata nazionale, sabato sfidano Messi. Rappresent­ano un Paese mignon con una ambizione taglia XXL: «Abbraccere­mo gli argentini, ma in campo attenzione alle sorprese», scherza Jökull. Tra l’altro, è uno degli uomini più potenti di Islanda: suona il tamburo dei Tólfan e scatena per primo l’applauso vichingo. A ogni 12° minuto, cascasse il mondo, fa gridare «Húh» a 330mila vichinghi.

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