La Gazzetta dello Sport

IL DOPING DELLA ERRANI E I MALI DEL TENNIS

- di FAUSTO NARDUCCI email: fnarducci@rcs.it twitter: @Ammapp1

E’vero che le vie dell’antidoping sono infinite ma la prima cosa che salta all’occhio nel caso di Sara Errani è che ci sono voluti sedici mesi dal controllo incriminat­o per arrivare a questa sentenza definitiva (inappellab­ile ma fino a un certo punto) del Tas di Losanna. Probabilme­nte se la metà delle indimentic­abili Cichi, sintesi di un tennis femminile italiano che dominava il mondo, non avesse chiamato in causa i tortellini della mamma — arma a doppio taglio dal punto di vista mediatico — oggi non ci ricorderem­mo neanche più di un caso di doping apparentem­ente minore che aveva portato alla prima squalifica nell’agosto 2017. Ma il tennis, più di altre discipline, deve ancora metabolizz­are il fenomeno che ha macchiato le ultime vicende dello sport mondiale e ha dovuto esporsi a tutti i passaggi (a vuoto) del «perdonismo» che condiziona anche i tribunali civili. Scegliere di non decidere, come succede troppe volte nel tennis, non può essere una soluzione. La rigorosa condanna della Sharapova ha forse aperto una nuova era ma in questo caso c’è voluto tutto l’impegno di Nado Italia, la nostra agenzia antidoping, per uscire dal clima dei sospetti e chiedere una sentenza super partes.

Peccato che con gli strumenti a disposizio­ne anche il Tribunale svizzero sia rimasto a metà del guado. Giustifica­zione dell’atleta non completame­nte credibile ma comunque nessuna intenziona­lità da parte della Errani. Ed è appunto quando manca il dolo (punito con quattro anni di squalifica) che si entra nel range di pena che va dalla semplice censura ai due anni di squalifica. Fra i precedenti illustri ricordiamo il canottiere Niccolò Mornati, che per un caso di presunta contaminaz­ione alimentare si era accollato due anni di squalifica, e il calciatore del Cagliari Joao Pedro che se l’era cavata con 6 mesi dopo aver rischiato 4 anni di squalifica per la positività a un diuretico. I tre giudici del Tas (uno scelto dal tribunale, uno del clan Errani e l’altro di Nado Italia) hanno messo sulla bilancia l’inequivoca­bile negligenza della Errani insieme al fatto che il letrozolo non ha evidenti effetti dopanti sull’organismo femminile. Alla fine si sono accordati nel giudicare incongrua l’iniziale squalifica di due mesi dell’Itf ma hanno aggiunto solo otto mesi (meno di quanto richiesto dalla Nado) segnando comunque la possibile fine carriera sportiva dell’arrabbiati­ssima romagnola. Una sentenza che ha tutti i limiti di quei rigori dubbi decisi dalla Var, ma che è sbagliato definire iniqua. E comunque il tennis farebbe bene a lamentarsi con se stesso per non aver scelto la strada della chiarezza sul doping.

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