MISSY AMERICA ORA NUOTA NEI DUBBI «LA VITA VALE ORO»
IL CANTANTE BIEBER ERA PAZZO DI LEI. CHE VINCEVA E DICEVA «IO NON SONO PHELPS». DOPO LA DEPRESSIONE E IL RIENTRO HA VIRATO: «VOGLIO ESSERE FELICE, NON MIGLIORE»
Missy Franklin non vince più, non vola più, non canta più. Forse sorride ancora, perché lo fa forzatamente ed automaticamente da sempre, ma cinque anni dopo è un’altra Missy. Un’altra ragazza. Ripartita ancora una volta da zero. Fuggita dalla California (dov’è cominciata la sua crisi, al College), scappata poi dal Colorado (per non rimanere intrappolata nelle pressioni familiari) e riparata in Georgia, dove Jack Bauerle sta tentando una «mission impossible» verso i Giochi di Tokyo: farla tornare la vera Missy. Che diceva: «Io sono Missy, non Phelps».
INVESTIMENTI
A 17 anni sbancò ai Giochi di Londra con 4 ori; a 18 anni festeggiò un’impresa memorabile mai riuscita a nessuna donna in piscina ai Mondiali, neanche alla miglior Katie Ledecky, ovvero trionfare 6 volte su 6 in un’edizione. Dimenticate quella teenager diventata miss America, contesa da Tv e sponsor, della quale si era innamorata il cantante Justin Bieber: Missy aveva scalato le classifiche di popolarità sino all’8° posto di SportsPro sui 50 atleti del mondo più commerciabili. La Img l’aveva ingaggiata per trasformarla in una macchina di soldi e medaglie, affiancandola a calibri come la tennista Serena Williams ed al pilota Lewis Hamilton, ma nessuno avrebbe immaginato che Missy sarebbe entrata nel tunnel di una crisi da cui non riesce ancora ad uscire del tutto, semmai ci riuscirà. Per una serie di ragioni e per colpa forse degli incontri sbagliati.
CATTIVA
Quella mostruosa, imbattibile nuotatrice che stregava sia a stile libero che a dorso, entrando al College fu costretta a lasciare il suo mentore e protettore, Todd Schmitz: l’impatto e il sodalizio con un’allenatrice, Teri McKeever, la prima donna a guidare ai Giochi olimpici una nazionale americana, non poteva risultare più disastroso. C’è chi dice malignamente che Teri l’abbia «rovinata», c’è chi dice che la vita nel College californiana fece perdere a Missy il senso della realtà. Una diva che aveva perso l’umiltà, ribelle e refrattaria alle regole imposte dalla «cattiva» coach, già guida della polivalente Natalie Coughlin, una che non voleva concedere privilegi neanche all’ingestibile Missy. Un vortice dentro cui la Franklin stava cominciando a perdersi, in assenza di risultati. Un dilemma che i genitori, unico punto di riferimento della ragazza, risolsero richiamandola a casa, riconsegnandola al vecchio mentore.
BUCO NERO
Ma qualcosa s’era già rotto dentro Missy, costretta a bluffare in pubblico promettendo meraviglie che nel frattempo faceva solo la Ledecky: una felicità sempre più problematica da ostentare e un buco nero in privato con cui misurarsi ogni giorno, colmato solo da tanti pianti e tanti chilometri, probabilmente inutili. Né ai Mondiali di Kazan 2015, né ai Giochi di Rio 2016 poteva più essere la vera Missy, sfrontata e imprendibile. La Ledecky le tolse via via la scena, e a Missy non bastarono certo gli ori nelle staffette. «Arrivando a Rio - racconta -, ero nella migliore forma fisica di sempre, non mi ero mai allenata così bene, ma tutto questo non significava nulla perché mentalmente mi trovavo in un posto terribile. Era tutto inutile per me: anche il mio corpo. Non potevo avere il potere o il controllo sui miei pensieri». Tutto pareva
stucchevole per la teenager, finita nel guado come Hackett, Phelps e Allison Schmitt; smarrita nella rete della depressione post-olimpica mentre «la mia immagine doveva essere sempre la stessa: non mi chiedevano altro che successi, di essere un modello per le ragazzine americane, di essere indistruttibile come prima, di tornare subito al top. Ma io avevo solo dubbi, la pressione mi stava uccidendo».
IL RITORNO
Missy nel 2017 decise di tornare in California, a Berkeley: non per chiedere scusa all’allenatrice, bensì per affidarsi a un altro tra i migliori coach al mondo, Dave Durden, né burbero come il suo primo mentore, né autoritario come Teri. Eppure non ha funzionato neanche con lui, complice l'operazione a una spalla che ha costretto Missy a buttar via un altro anno, il 2017 dei Mondiali di Budapest. La paura che fosse finita per sempre, il punto di non ritorno ha costretto la campionessa disincantata ad un’altra svolta, non cercata. La ragazza cresciuta e con nuove priorità, la passione viscerale trasformata in insopportabile frustrazione e il trasferimento in Georgia sono l’ultimo tentativo, probabilmente, per un rilancio tutto da valutare: «Ma senza più pressioni, ora so di poter controllare le mie emozioni, sto cercando di dare l’importanza giusta a tutte le cose, farò del mio meglio: sarà questa la mia vera vittoria». Tra i campionati Usa di Irvine di fine luglio che qualificheranno ai Panpacifici di agosto a Tokyo e ai Mondiali ‘19 in Sud Corea, Missy si gioca tutto. Ma, più realista, ha imparato la lezione e fatto abbastanza i conti con la delusione: «Ora ho gli strumenti per reagire, so che cos’è il mondo reale. Ho imparato tutto su me stessa, la mia vita non dipende più da una medaglia. Ora so che c’è dietro una persona che vale più di come nuota. Ora ho capito perché mi allenavo inutilmente. Non cerco un Missy migliore, ma una Missy felice, onesta totalmente con me stessa. Perdere non mi terrorizza più». Senza il sorriso da adolescente, ma con un sorriso autentico.