«Prepotente» e geniale Ma la Francia non ha leader
●Deschamps teme che l’assenza di «saggezza» fra i suoi talenti possa alla lunga costare cara
INVIATO A MOSCA
Non manca uno Zidane a questa Francia, sarebbe pretendere troppo. Di Zidane ne nasce uno ogni trent’anni e in ogni caso la sua convocazione «bleu», da c.t. però, potrebbe non tardare se la campagna di Russia fosse un fallimento napoleonico. A questo gruppo di talenti un po’ anarchici – Pogba, Mbappé, Dembelé – che si compiacciono di una prepotenza fisica declinata con tecnica superiore, manca probabilmente, semplicemente, un Deschamps giocatore. Quello che DD chiede quando dice che la sua squadra «può e deve migliorare», non accontentandosi del 2-1 tecnologico con l’Australia (una Var e una «goal-line» per vincere). Nel mirino c’è anche l’anima non ancora emersa dal lungo laboratorio. Il rischio è di accorgersene alla vigilia di una sfida con il Perù che non lascia tranquilli, «perché non è una squadra difensiva, attacca alla sudamericana, nelle ultime partite ha subito 3 gol e ne ha fatti 13».
OCCHIO AL PERÙ Assenti da un Mondiale da 36 anni, i sudamericano hanno impressionato contro la Danimarca. Pagando l’ingenuità difensiva sul gol preso, e gli enormi, infiniti errori sotto rete che hanno neutralizzato una manovra veloce, tecnica, sempre offensiva. Un Kane in area e sarebbe stato massacro. Non è l’Australia il Perù, non ha muri per sbarrare l’isola dall’oceano: accetta la sfida senza maschera. Potrebbe essere un bene per la Francia che nelle partite «aperte» può dispiegare il suo gioco veloce e fisico. Però si scopre un po’. Servirebbe quel leader, quell’allenatore in campo, che prenda per mano i compagni. Contro l’Australia, la Francia è sembrata divisa in tre settori che non si parlavano (e non solo calcisticamente), scuciti. Mancava il sarto. Nella Francia campione d’Europa e del mondo c’erano Blanc, Thuram, Deschamps, Zidane. Qui tanti ragazzi figli del loro tempo, spesso più interessati all’ultimo colore della cresta o al nuovo tatuaggio. Chissà se quando Deschamps li guarda fa la faccia un po’ cinica e schifata di Jean Gabin. Ha cercato in tutti i modi di responsabilizzare Pogba, uno però troppo naif per essere un capo. DD avrebbe voluto una risposta da Antoine Griezmann, l’uomo ideale, il simbolo del bel gioco, dei gol, della faccia che piace a mamma e figlie: ma anche lui non sembra interessato a sobbarcarsi responsabilità collettive, limitandosi all’investitura di simbolo mediatico. Troppo tardi per dare i gradi a Lloris che pure oggi fa 100 «gettoni» in nazionale, troppo presto per Varane che vive la sindrome Real, ultimo arrivato tra campionissimi con pellicce sullo stomaco, non pelo.
PALLA A MATUIDI In questi casi, allora, si cerca anche un capo più umile, di quelli che non possono alzare troppo la voce, ma si fanno sentire lo stesso. Uno come Matuidi che, non a caso, oggi dovrebbe togliere il posto a Tolisso e forse modificare l’atteggiamento tattico: con un 42-3-1 nel quale lo juventino può giocare da Juve, cioè trequartista di sinistra. Non una grandissima idea, perché non è il suo ruolo e perché obbligherebbe Pogba a restare a due davanti alla difesa, posizione che cancella qualunque nostalgia di quelle progressioni juventine scomparse dal suo repertorio. Se Deschamps potesse, forse, convocherebbe se stesso.