Da Liverpool a Marsiglia: gli yankees nel pallone
●●li americani investono in Europa con una precisa filosofia in mente: prima il fatturato e poi il palmares
C’era una volta Usa ’94 e un Mondiale pensato per avvicinare gli yankees al calcio. Esperimento riuscito a metà, perché a distanza di 24 anni il soccer cresce negli States, ma è ancora lontano dagli standard europei. Se la montagna non viene dallo Zio Sam, allora lo Zio Sam va alla montagna. Così con il nuovo millennio, più che lanciare il pallone in America, sono gli americani a «giocare» con il calcio del vecchio Continente.
BUSINESS Il primo fu Malcom Glazer da Rochester, stato di New York, Usa. Figlio di immigrati lituani con la passione dei gioielli, Glazer ha costruito un impero e investito nello sport già con i Tampa Bay Bucaneers, football americano. Nel 2005 il grande passo dalla palla ovale a quella rotonda: acquista il Manchester United, dopo che a fine anni Novanta ci aveva già provato il connazionale Murdoch. Lo fa con un’Opa ostile e facendo leva sul leveraged buyout, scaricando in pratica i debiti contratti per l’acquisto sul club appena comprato. Apriti cielo. A Manchester non ci stanno: la squadra sul campo vince parecchio, ma sugli spalti aumentano sempre di più le sciarpe giallo-verdi simbolo della protesta autoctona. Fino a quando la tifoseria ci fa il callo e si rassegna. Lo United oggi vince di meno in campo, ma fuori è diventata una macchina per far soldi. Il fatturato è salito in 13 anni da 246 milioni di euro a oltre 675, primo club al mondo, grazie all’espansione del marchio sui nuovi mercati. Perché gli americani non avranno la nostra cultura calcistica, ma sono imbattibili negli affari. Business is business.
PREMIER MA NON SOLO I successi finanziari dei Glazer (Malcom è morto nel 2014, ma la famiglia è ancora proprietaria dello United) hanno portato altri imprenditori a stelle e strisce a investire nel calcio. Anche a Liverpool. E viene quasi da ridere a ripensare a quando dalla Kop partivano cori di scherno ai cugini di Manchester per la loro proprietà americana. Ora i Reds sono in mano al Fenway Sports Group, cordata che fa capo a John Henry, azionista di maggioranza dei Boston Red Sox di baseball. Perché cambia lo sport, ma non il modello per far soldi: scelta di management competente, investimenti mirati, conquista di fette di mercato, crescita del brand. Tra i tanti soci, anche LeBron James, stella dell’Nba: acquistò il 2% del club nel 2011 per 6,5 milioni di euro, oggi la sua quota vale 32 milioni. Dal 2014 a oggi il Liverpool ha raddoppiato il fatturato, tornando competitivo anche sul campo. What else? In Inghilterra lo Zio Sam possiede anche Swansea, Sunderland e Fulham: squadre che in campo faticano, ma fuori producono utili per i loro proprietari. Un po’ come l’Arsenal di Stan Kroenke, azionista di maggioranza from Columbia, Missouri: da quando è arrivato lui, i Gunners hanno vinto solo coppe di secondo piano, ma festeggiano quasi tutti gli anni lo scudetto del bilancio in Premier. Fa eccezione l’esempio negativo di Randy Lerner all’Aston Villa: ha ceduto ai cinesi dopo la retrocessione nel 2016. Lerner è anche il proprietario dei Cleveland Browns, squadra di Nfl che ha chiuso l’ultima stagione con zero vittorie. Gli gira male, insomma. Gli yankees stanno arrivando anche nel resto d’Europa: l’esempio di LeBron ha spinto Steve Nash (ex cestista canadese) a seguire Robert Sarver, proprietario dei Phoenix Suns, nell’acquisto del Maiorca in Spagna, mentre Frank McCourt si è comprato il Marsiglia (Francia).
ITALIA Gli americani, naturalmente, sono sbarcati anche da noi. Nel 2011 la Roma è diventata a stelle strisce, grazie alla cordata guidata da Tom Di Benedetto, che poi passò la mano al socio James Pallotta. Non è americano ma canadese Joey Saputo, proprietario del Bologna. Al Venezia c’è Joe Tacopina, mentre la Reggiana è cosa di Mike Piazza, ex stella del baseball. Il Milan sarebbe il prossimo, ma probabilmente non l’ultimo club. And counting, dicono in America.