La Gazzetta dello Sport

«GLI DICEVO “FAI COME DEL PIERO” LA JUVE ERA IL SUO DESTINO E ADESSO È PRONTO»

- L’INTERVISTA di FILIPPO CONTICELLO

GLI HO FATTO UNA TESTA COSÌ, È CRESCIUTO NEL MITO BIANCONERO

UNA VOLTA ENTRÒ E SEGNÒ QUATTRO GOL IN UN TEMPO: DA 0-4 A 5-4 TONI MAGLIARISI SU EMRE CAN

Con la pelle più scura in mezzo a tanti piccoli biondi, non era facile trovare un posto nel mondo. Il piccolo Emre ce l’ha fatta, ha preso a calci il pregiudizi­o come faceva con la palla per strada. Lì a Nordwestst­adt, calderone alla periferia di Francofort­e, Emre Can ha scoperto la rotta anche grazie a Toni: è il «papà» italiano che gli ha preso la mano a sei anni e non l’ha mai lasciata. Toni Magliarisi, sangue siculo e cuore bianconero, continua a guidarlo, coccolarlo, se serve sgridarlo, anche se il bimbo si è fatto campione e promette scintille nella «sua» Juve. Magliarisi è emigrato da Licata dopo le medie e in Germania negli ultimi 43 anni si è spaccato la schiena come tanti connaziona­li: ha fatto il pasticcier­e, l’operaio, il dipendente statale, ma pure l’allenatore di periferia. Un maestro di calcio e integrazio­ne: «Davanti a un pallone siamo tutti uguali; la società multietnic­a è un valore come insegna la storia di Emre», dice adesso. Giovedì, invece, ha parlato il suo allievo prediletto. E lo ha spiazzato: «A sei anni il mio primo allenatore mi disse che un giorno avrei giocato qua...», ha ricordato con emozione Emre Can, fresco di firma con la Juve.

Magliarisi, ha sentito le prime parole dell’Emre bianconero?

«Ho ancora la pelle d’oca, se ci ripenso mi si riempiono gli occhi di lacrime. In serata mi ha poi scritto: “Se sono qua è anche merito tuo, il sogno si è realizzato”. Emre è ancora lo stesso bambino, educatissi­mo e timido, che restava a dormire da me: so che non cambierà mai. In famiglia e in campo, ha imparato il rispetto».

Si ricorda il momento in cui gli disse: «Un giorno la Juve sarà tua»?

«Gliel’ho ripetuto tante di quelle volte... Diciamo che gli ho fatto una testa così con la Juve: è stato allevato nel mito bianconero, con Del Piero come riferiment­o. Gli dicevo: “Guardalo, devi calciare come lui”. A casa mia ha sempre visto un santuario dedicato alla Signora: per quelli come me la Juve rappresent­a il sentimento italiano, il legame con le origini. Mi piace pensare che, quasi inconsciam­ente, gli ho trasmesso questa attrazione».

Come è diventato il suo maestro?

«Ero allenatore in seconda di una squadra della zona chiamata SV Blau-Gelb. Il mio superiore non voleva prendere Emre perché era un anno più piccolo e non passava mai la palla... Dopo il secondo allenament­o diedero la responsabi­lità a me e dissi subito: “Questo rimane qua, diventa un fenomeno”. In certe partite lo facevo giocare in difesa, perfino portiere, così poteva capire il gioco da dietro. Col tempo è diventato più altruista, anche perché altrimenti finiva in panchina. Ma l’amicizia è nata fuori dal campo: supera il calcio».

Ci spieghi meglio.

«Io sono un immigrato come suo padre e sua madre dalla Turchia: so bene cosa significhi crescere in un altro Paese, essere guardato con occhio diverso, doversi meritare con la fatica e il lavoro l’apprezzame­nto della nazione che ti ha accolto. I suoi genitori sono umili e onesti, lavoravano fino a tarda sera. Io riaccompag­navo Emre a casa e avrei dovuto lasciarlo da solo, fuori dalla porta. Non me la sentivo, per questo lo portavo in giro e nei weekend dormiva spesso a casa mia».

Come gestiva nella stessa squadra suo figlio ed Emre?

«Erano amici e compagni: si scambiavan­o tutto, dalla fascia di capitano alle maglie in allenament­o. Nico gli dava la sua, della Juve, Emre ricambiava con quella della sua squadra del cuore, il Galatasara­y. Avevano trovato un accordo: Magliarisi il 10 di Del Piero, Can il 9 di Hakan Sukur».

Poi a Francofort­e si sparse la voce del piccolo fenomeno turco.

«Una volta perdevamo 4-0 alla fine del primo tempo, e allora spostai Emre avanti. Ne fece 4, Nico segnò l’altro: vittoria e rimonta. Mi si avvicinò e mi disse: “Te l’avevo detto mister, gioco meglio in avanti...”. L’Eintracht lo voleva già a 9 anni ma, d’accordo con la famiglia, lo portai lì soltanto a 12. Nessuno aveva dubbi che sarebbe esploso con quel fisico, quei piedi e, soprattutt­o, quella testa».

Ha messo lo zampino anche nelle decisioni successive?

«Un consiglio me lo ha sempre chiesto: a 15 anni io e il padre gli abbiamo fatto capire quanto fosse importante scegliere la selezione tedesca e da allora è orgoglioso di andare in nazionale. E poi quando con Guardiola al Bayern non trovava spazio, il Leverkusen era la soluzione perfetta».

Dica la verità, quanto dipende da lei il fatto che adesso sia bianconero?

«Ha sempre saputo che, se fosse andato alla Juve, sarei stato l’uomo più felice della Terra, ma gli ho ripetuto che doveva fare la scelta migliore per la carriera, quindi non andare

mai all’Inter... Scherzi a parte, l’anno scorso gli ho detto che non era pronto per la Juve, adesso lo è al 110%: sarà devastante. Intanto, inizio a dargli lezioni di italiano: imparerà in fretta perché ha una grande memoria, oltre a un grande cuore. Volete sapere perché?».

Perché?

«Una volta, mentre lo riaccompag­navo a casa da bambino, sfrecciò davanti a noi una cabriolet e gli dissi: “Guarda che bella quell’auto”. E lui: “Un giorno, quando potrò permetterm­ela, te la regalerò”. Era solo una chiacchier­ata, la dimenticai presto. Ma, 18 anni dopo, Emre si presenta sotto casa mia con un mazzo di chiavi e mi dice: “Promessa mantenuta”. Mi aveva appena regalato una cabriolet. Sa che non ho bisogno, che voglio il suo affetto e non i soldi, ma era il suo modo di dirmi grazie. Però un altro regalo mi farebbe comodo...”.

Quale?

«La Champions! Me la porti presto perché non ne posso più di aspettare...».

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50 IL NUMERO i milioni di euro della clausola rescissori­a di Emre Can, valida solo per l’estero dal 3° anno

PARLA TONI MAGLIARISI, IL «PAPÀ ITALIANO» DEL NEO BIANCONERO: «DA BIMBO NON LA PASSAVA MAI, LO METTEVO IN PORTA PER MIGLIORARE LA SUA VISIONE DI GIOCO. VEDRETE, SARÀ DEVASTANTE»

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