La Gazzetta dello Sport

Il piccolo Emil esalta il gruppo Altro che Ibra...

●L’uomo del match: «Crediamo in quello che facciamo, i risultati ci danno ragione»

- INVIATA A SAN PIETROBURG­O al.bo.

È

la solita storia: troppo piccolo per giocare a pallone. In un Paese di giganti poi, figurarsi. Non ci credeva nessuno. Invece Emil Forsberg è arrivato in nazionale e magari ora con il gol che ha portato la Svezia fra le prime otto del mondo potrà sperare di trovare una sistemazio­ne migliore del Lipsia, che vorrebbe lasciare. Certo, il suo gol non è stato artistico come quelli che segnava Ibrahimovi­c, uno che a lui non piaceva, si può immaginare perché. Schivo e taciturno Emil, il giocatore più talentuoso di questa Svezia, debordante Zlatan, che lui trovava incredibil­mente fastidioso per il gruppo della nazionale. Detto in modo molto educato, ovvio, perché il «piccolo» Forsberg è fatto così. «Abbiamo raggiunto un risultato straordina­rio – ha detto a fine partita –, giocando una gran partita. Non abbiamo concesso molte occasioni alla Svizzera. Noi crediamo molto in quello che facciamo, abbiamo fiducia in noi stessi e il risultato che abbiamo ottenuto dimostra che abbiamo ragione a crederci». Tutto molto misurato. FORTUNA

Difficile stabilire ora se il tiro centrale rimbalzato sul piede di Akanji gli cambierà la vita. Ha avuto fortuna, il piccolo Emil, come quando ha deciso di abbandonar­e l’hockey su ghiaccio e di dedicarsi al calcio come già avevano fatto altri nella sua famiglia di sportivi: dal nonno ala sinistra ha preso la velocità, il padre era un attaccante capace di segnare 150 gol in 400 partite nella squadra di casa, il Sundsvall, nord della Svezia. Agli opposti di Ibrahimovi­c, anche in questo caso, uomo del sud oltre che di molte parole. Forsberg invece se può svicola: non è un grande comunicato­re, dicono, ma da uomo del match non ha potuto esimersi. E così ecco di nuovo i concetti di gruppo, di unione, di fiducia in se stessi che Andersson ha inculcato così bene nei suoi giocatori. «Siamo arrivati ai quarti e vogliamo fare anche meglio. Non ci poniamo limiti. Pensiamo giorno per giorno, poi vediamo che succede», ha detto il commissari­o tecnico. Forsberg non aveva ancora tre anni quando la Svezia è arrivata terza al Mondiale americano, e chissà se col suo temperamen­to tranquillo osa spingere i sogni tanto in là. Ci prova Ekdal, poco più vecchio di lui: «Vogliamo provare a ripetere quel risultato fantastico».

ESULTANZA

Piccolo e tranquillo in tutto, Forsberg, anche nell’esultare con un cuoricino, ma piccolo, quasi non volesse farsi proprio vedere. Non ha la sfacciatag­gine di Lustig che alla vigilia della partita provocava gli avversari, non ha l’aria da leader di Granqvist che ha trascinato la squadra nelle prime partite, ma probabilme­nte ha più talento di tutti, come spesso succede coi piccoli. Ieri ha vinto con il talento, con la fortuna e anche con il coraggio. Senza il suo salvataggi­o sulla riga di porta forse la Svezia avrebbe dovuto faticare ancora parecchio per entrare nei sospirati quarti. Ora che c’è, forse anche lui diventerà un po’ più visibile. Un po’ meno muto.

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EPA Emil Forsberg esulta al fischio finale che ha promosso la Svezia

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