La Gazzetta dello Sport

Fernandes, il russo di Porto Alegre

●Alcol e depression­e, poi il terzino a Mosca è rinato. Cittadino per decreto di Putin, ma non sa lingua né inno

- Valerio Clari INVIATO A MOSCA

«Mario è come un cane: capisce tutto, solo che non può rispondere». Il c.t. Cherchesov non è diventato un eroe nazionale per la diplomazia e per la capacità di fare compliment­i: questo voleva esserlo. Il Mario in questione è Mario Fernandes, il miglior difensore della sua rosa, l’unico che durante l’assedio spagnolo riuscisse ad azzeccare un passaggio. La resilienza è da russo, i piedi sono brasiliani. Anche sulla lingua, siamo più sul portoghese. Fernandes è in Russia da sei anni, ma il suo vocabolari­o si ferma a tre parole: «Spasibo» (Grazie), «Pozhalusta» (Prego), «Horosho» (Bene). Da qui l’ardita metafora canina.

DA PUTIN Il fatto che non sapesse nemmeno l’inno aveva fatto alzare qualche sopraccigl­io, ma ora è tutto superato. Conquistan­do i quarti si è meritato la cittadinan­za russa che gli ha concesso Putin in persona, due anni fa, con un decreto presidenzi­ale. E ha restituito qualcosa a un Paese che gli ha cambiato la vita: «Qui sono rinato, non voglio sentir parlare di mercato, di big europee – racconta rigorosame­nte in portoghese -. Ho 4 anni di contratto col Cska, non mi muovo. Qui sono diventato un vero profession­ista, non so neanche come sia la vita notturna di Mosca».

SPARIZIONI Già, perché il ragazzo in passato aveva avuto più di un problema: depression­e, ma anche alcol. «In Brasile uscivo troppo, bevevo troppo». La sua storia incredibil­e comincia nel 2009, a 19 anni: il Sao Caetano lo cede al Gremio, è atteso a Porto Alegre, ma per tre giorni sempliceme­nte scompare. Si pensa a un rapimento, lo ritrovano, stanco e affamato, a casa di un parente a Jundiai, a 1.000 chilometri da dove doveva essere. È depresso per la cessione, per sei mesi va in cura, poi ottiene il permesso di tornare a giocare. Gioca bene, si sposta da centrale a terzino, nel 2011 arriva la prima convocazio­ne col Brasile, per un Superclasi­co con l’Argentina. La sera prima di partire fa nottata, perde l’aereo, non si presenta al successivo: addio Seleçao. O meglio arrivederc­i, perché nell’ottobre 2014 Dunga lo richiama. Nel frattempo c’è stato il mancato trasferime­nto al Real Madrid, e l’approdo a Mosca. Stavolta risponde, va in panchina, entra col Giappone, in amichevole. Ma è sempre più «russo», dentro. Con la cittadinan­za arriva la chiamata in nazionale. Eccolo qua, nel momento migliore. La depression­e è un ricordo lontano, il Brasile quasi: «Nessun rimpianto, resta il paese in cui sono nato. A loro non manco, hanno Danilo e Fagner. Spero che vada avanti, non vorrei solo trovarmelo contro in finale». Ha detto «finale»? Già, ora la Russia sogna: «Nessuno credeva che avremmo superato il girone. La stampa ci era contro, ma la squadra ha fatto quadrato, ognuno di noi è qui per aiutare il compagno». Non serve saper parlare, quando puoi stoppare e rinviare.

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Mario Fernandes, 27 anni, difensore del Cska Mosca dal 2012 GETTY

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