DA FIGLIO A «MARITO» AUGURI SIGNOR JUVE «SI’, IL CLUB E’ IL MIO CUORE»
TRAGUARDO SPECIALE PER UN TOTEM BIANCONERO, PRIMA CAPITANO E POI PRESIDENTE. «CONTINUATE A VINCERE, COME SAPETE È L’UNICA COSA CHE CONTA...»
«Compio novant’anni, un traguardo importante. Ho già ricevuto auguri, congratulazioni, grandi testimonianze di affetto. Mi hanno cercato in tanti e voglio ringraziare tutti pubblicamente». Giampiero Boniperti, l’uomo fattosi Juve, affida all’Ansa la sua felicità e la sua gratitudine in maniera da poter raggiungere il grande popolo bianconero (e i molti avversari che lo hanno stimato) su ogni piattaforma mediatica. Non è mai stato personaggio, sia da giocatore che da dirigente ha sempre preferito i fatti alle parole «anche perché il pallone ti può smentire a ogni partita». Però oggi è un giorno speciale e sotto la torta con le candeline bianconere il festeggiato ha voluto mettere una letterina scritta di suo pugno . «Sto seguendo il Mondiale alla tv, il calcio mi appassiona sempre. Peccato davvero che non ci sia l’Italia ma per fortuna le soddisfazioni continuano ad arrivarmi dalla mia amata Juventus. E’ stato un anno eccezionale dopo una lunga serie altrettanto eccezionale. Voglio fare i complimenti alla società e ai giocatori che sono stati straordinari, ma il mio abbraccio va soprattutto ai tifosi che sempre mi ricordano e mi danno segnali di grandissimo affetto. Nella festa per l’ultimo scudetto ho persino visto sventolare un’enorme bandiera con il mio ritratto e non nascondo che mi ha fatto emozionare. Alla Juve posso fare solo un augurio: continuare a vincere perché, come sapete, rimane sempre l’unica cosa che conta».
IL BOMBER E Boniperti di vittorie ha una ricca collezione. Il suo periodo agonistico va dall’immediato Dopoguerra al 1961 e ha visto i bianconeri conquistare cinque volte il tricolore (con due Coppe Italia). In quelle stagioni Giampiero ricoprì due ruoli di fondamentale importanza. Per una decina di annate agì da centravanti puro. Sommava grinta a tecnica, carattere a eleganza stilistica. Volendolo accostare ad attaccanti bianconeri di epoche più recenti si potrebbe partire da Boninsegna (che però diede il meglio nell’Inter), transitare per Bettega (che è stato uno dei suoi acquisti eccellenti) e finire a Del Piero, preso «bambino»: l’ultimo dei suoi colpacci. Ecco, provando a fare un mix delle qualità di questi tre campioni arriveremmo assai vicini al nostro festeggiato (che fu pure capocannoniere nel torneo 1947-48 con 27 reti).
IL REGISTA Nella seconda fase della carriera, l’anno prima che arrivassero Sivori e Charles, il bomber si trasformò in una mezzala di regia. Vogliamo dire Pirlo? Sì, ci può stare per indicare la capacità di organizzare il gioco partendo dalla propria metà campo. Aggiungendoci una spruzzatina di Luisito Suarez che all’epoca, nel Barcellona, era il re dei lanci da quaranta metri e il seltz di Michel Platini, cioè l’effervescenza nel dribbling unita all’abilità negli inserimenti e nelle conclusioni.
IL RIVALE PIÙ STIMATO Giampiero decise di smettere al termine della partita-massacro contro l’Inter Primavera (9-1) che celebrò lo scudetto 1961. Uscendo dal campo consegnò le scarpette al magazziniere sussurrandogli: «Te le regalo, non mi servono più». Aveva appena visto all’opera Sandrino Mazzola, il primogenito di capitan Valentino. L’avversario che ha più stimato. «Ancora adesso, se debbo pensare al calciatore più utile, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelè, a Di Stefano, a Cruijff, a Platini, a Maradona... O meglio, penso anche a loro, ma solo dopo Valentino Mazzola». Una delle sue rare e perciò ancora più preziose frasi sul periodo di calciatore, che spiega probabilmente l’avversione al derby. «Il Toro è la squadra che mi fa soffrire e che temo maggiormente».
LUI E L’AVVOCATO E allora niente stracittadina. Al massimo vedeva il primo tempo... Già, le fughe dallo stadio del Boniperti dirigente diventarono in breve un must bianconero. In cabina di regia ce lo aveva messo Gianni Agnelli, col quale era nato un rapporto speciale sin dagli anni Cinquanta. All’alba degli anni Settanta, quindi, l’Avvocato si affidò al suo vecchio capitano e Giampiero lo ripagò allestendo formazioni assai competitive. Se Platini rappresenta il fiore all’occhiello di tante brillanti campagne acquisti, e Del Piero l’ultimo crack, è lecito pensare alla Juve di Trapattoni come squadra di riferimento della ultra ventennale gestione nella quale il club ha conquistato tutti i trofei internazionali, nove scudetti e tre Coppe Italia. I vari Zoff, Gentile, Spinosi, Cabrini, Furino, Morini, Brio, Scirea, Causio, Tardelli, Benetti, Bettega e pure i gregari di lusso tipo Marchetti, Cuccureddu o Altafini, occupano un posto di rilievo tra i ricordi di questa esaltante avventura che è stata la sua vita.
LO STOP Il presidente (oggi onorario) juventino non ha mai voluto spiegare perché si arrivò alla separazione definitiva del ’94 dopo quella breve dal febbraio ’90 al ’91. In molti cronisti tentarono di strappargli qualcosa di diverso dalle frasi di circostanza («Oh, carissimo, come sta il papà? Salutamelo caramente»), ma nemmeno il passare degli anni ha ammorbidito questo piemontese doc che oggi aggiunge un altro traguardo alla sua collezione. «La Juve non ce l’ho nel cuore, è il mio cuore». E allora che batta ancora a lungo, presidentissimo.