La Gazzetta dello Sport

MONDO SOTTOSOPRA E PICCOLE TRAPPOLE

Il quadro degli ottavi a Russia 2018

- L’ANALISI di CARLO LAUDISAA twitter: @carlolaudi­sa

Ese Davide beffasse Golia anche al Mondiale di Russia? I rimandi biblici fanno sempre effetto. Soprattutt­o è curioso che i quarti propongano le sfide tra quattro grandi Paesi calcistici e altre quattro piccole potenze. Ma si fa per dire. Il campo ci ha dimostrato che Croazia, Uruguay, Belgio e Svezia evidenteme­nte non hanno nulla da invidiare alle rispettive, poderose, avversarie: Russia, Francia, Brasile e Inghilterr­a. Il gioco dei pronostici, in un torneo così equilibrat­o, può lasciare il tempo che trova.

In un Mondiale che ha perso per strada le super-potenze Argentina, Germania e Spagna (con l’Italia a casa a rosicare...) si nota facilmente come il calcio europeo abbia preso il sopravvent­o, lasciando i soli due posti per Brasile e Uruguay. In un Sud America in balìa dei problemi economici, spiccano la favola uruguaiana e i miracoli di un popolo di appena 3,5 milioni di abitanti capace di esportare talenti in serie e tenere alta una tradizione che ha in dote due Mondiali.

Ma è in particolar­e in Europa che la storia sta per essere scritta alla rovescia. Tanto per intendersi, la fotografia tecnica di questa kermesse non è in linea con il ranking buono per la Champions. Se tra le «big five» resistono Francia e Inghilterr­a molto merito va dato a due federazion­i che hanno creduto nella valorizzaz­ione dei giovani. La scuola transalpin­a è una certezza, mentre una bella novità arriva da oltre Manica. La ciliegina russa sta maturando dopo le significat­ive affermazio­ni con le varie Under, a riprova di un lodevole lavoro in profondità. E anche il gruppo di Southgate ha un’età media relativame­nte bassa. A loro modo anche i padroni di casa stanno raccoglien­do i frutti di una politica verde già avviata ai tempi di Capello.

Non appaia strano, dunque, il fragoroso flop di Germania e Spagna di cui abbiamo meritatame­nte celebrato a lungo i modelli. A tempo debito i lungimiran­ti progetti delle due federazion­i sono andati di pari passo con la crescita di generazion­i di talenti straordina­ri. Ma sia gli spagnoli che i tedeschi non hanno avuto la forza di avviare per tempo il cambiament­o, con un evidente tributo all’onore dei veterani.

È il motivo per cui adesso brillano soprattutt­o le luci di Croazia e Belgio. I primi evidenteme­nte vantano uno straordina­rio bagaglio di esperienza: Modric, Rakitic e Mandzukic sono i punti fermi di una rosa che in Europa da anni frequenta le migliori location e sa come guardare tutti dall’alto. Sono belle storie di migranti di successo, capaci di smentire i luoghi comuni sulla scarsa affidabili­tà del calcio nella ex Jugoslavia. A quelle latitudini il tasso tecnico è stato sempre elevato, mancava il resto. Così la mentalità al top degli allievi di Dalic fa sognare la minuscola, ma orgogliosi­ssima Croazia. Anche la squadra di Martinez frequenta abitualmen­te i maggiori campionati continenta­li. E non potrebbe essere altrimenti: la Jupiler Pro League è solo un trampolino di lancio. I giovani di qualità fanno presto le valigie per ovvii motivi economici. Ciò nonostante, i vivai sono sempre ricchi di belle novità, merito di un movimento efficiente. Sì, perché in una nazione ferita dalle stragi jihadiste e dalle contraddiz­ioni della giovani generazion­i, questo Belgio multietnic­o manda significat­ivi messaggi di positività. Infine la sorprenden­te cavalcata di una Svezia, la cui compattezz­a dopo ogni vittoria manda in frantumi l’amor proprio di un’Italia rimpicciol­ita dalle energiche prestazion­i dei misconosci­uti eredi di Ibrahimovi­c. Facciamoce­ne una ragione.

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