La Gazzetta dello Sport

FROOME E IL TIFO: IL TOUR DEVE ESSERE UN VERO FESTIVAL

Ciclismo: polemiche feroci stanno accompagna­ndo la presenza del britannico

- L’ANALISI di LUCA GIALANELLA email: lgialanell­a@rcs.it twitter:

Sono questi i giorni della ricorrenza del ventennale dello scandalo Festina. Il 3 luglio, in una piccola zona di frontiera nella campagna tra Francia e Belgio, Willy Voet, massaggiat­ore della Festina, veniva fermato con un arsenale doping che avrebbe segnato un prima e un dopo nella battaglia verso un ciclismo credibile. Polizia negli alberghi, notti in bianco per i corridori, molti dei quali arrestati e portati alla confession­e. Ieri Chris Froome non è mai stato perso di vista da numerosi gendarmi durante l’incontro con la stampa. E sulle strade del Tour, accanto ai 12 milioni di appassiona­ti, ci saranno trentamila agenti a difendere la sicurezza della carovana e dei corridori. A difendere, per quanto possibile, anche questo educato britannico nato in Kenya, malato cronico di asma (come certificat­o dalla stessa Wada), che usa il Ventolin come chiunque abbia problemi alle vie respirator­ie ed è diventato dal 2013 il bersaglio preferito di critiche, insulti e non solo.

Ieri alle parole del presidente Uci, Lappartien­t, ha risposto lo stesso Froome: «Venite in strada a tifare per tutti noi». Il ciclismo non ha mai conosciuto il tifo «contro». I tifosi si sono divisi nella passione, anche in maniera feroce, ma sempre nei limiti della sportività. Invece Froome, che ha avuto la sfortuna di crescere nel dopo-Armstrong, ha sempre dovuto pedalare in un clima gelido. Il Giro d’Italia non teme di dare lezioni al mondo: i corridori amano la corsa rosa per la passione e il calore unico che circondano la carovana. E allora che il Tour de France, al di là delle divisioni, possa farci vivere tre settimane di pura passione ciclistica. Di tifo sereno, autentico. Froome deve essere il bersaglio degli attacchi in sella di Nibali e Bardet, non di atti violenti che nel ciclismo non hanno mai trovato casa.

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