Il professore ha «guarito» la Svezia: il gruppo viene prima di tutto
●Senza Ibra squadra più coesa: «Io studioso del calcio italiano: che forte era il Milan...»
Ci sono modi più banali per cominciare una grande avventura. Lui, come prima cosa, ha fatto pulizia. In modi diversi. All’alba dell’avventura, ha dato un colpo di spugna alla Svezia Ibra-dipendente. Poi ha dato colpi di ramazza a San Siro, lasciando lo spogliatoio vuoto di sporcizia e l’Italia vuota di sogni. Ma alzi la mano chi non avrebbe scommesso che l’avventura sarebbe durata poco. Invece Janne Andersson e la sua truppa di normo-calciatori è ancora qui, nel cielo intermittente di Russia, un momento terso e un altro carico di pioggia, a giocarsi la semifinale mondiale che manca alla Svezia dal 1994.
TRADIZIONE E FAMIGLIA Albert Camus diceva che «tutto quello che ho imparato dalla vita sulla solidarietà, l’ho imparato dal calcio». Concetto che il professor Andersson – laureato in pedagogia sportiva – ha ben presente. Ha raccolto le macerie della Svezia dopo Euro 2016 (fuori nel girone azzurro) e ricostruito un squadra rocciosa e unita. Tornando all’antico. La Svezia di Hamren, si sa, era tiranneggiata da Ibra, debole e divisa in gruppi. Andersson il restauratore ha stabilito un dogma: «Il gruppo prima di tutto». Senza stelle, gli è stato più facile plasmarlo. Tutti devono lottare per tutti. E lo fanno, eccome se lo fanno. Per cementare il gruppo ha preteso che le famiglie dei giocatori si conoscessero, cenassero insieme, diventassero amiche. Per il resto si è affidato alle caratteristiche svedesi: fisicità, difesa e contropiede. «Idea di gioco semplice e chiara». Non a caso ha subito soltanto 2 gol (dalla Germania) fino a oggi. Grazie anche all’Italia. «Da studioso ho seguito il calcio in tanti Paesi, quello italiano degli anni 80 e 90 in particolare. Era molto forte e bello, mi ricordo il grande Milan, Baresi e Maldini. Ho studiato le difese di allora… Anche Gentile mi piaceva molto. Pensi come ha fermato Maradona».
DETTAGLI E CORAGGIO Il professor Andersson, 30 anni di calcio alle spalle e un titolo col Norkopping, studia parecchio: «Pretendo molto da me stesso, curo ogni minimo dettaglio. E voglio che chi lavora con me faccia altrettanto. Bisogna essere sempre preparati. Si può perdere, ma mai per non aver studiato». Janne ha ridato anche consapevolezza. «Siamo stati fortunati? Non ci interessa quello che pensano gli altri. Noi sappiamo che ci siamo guadagnati i nostri successi. Abbiamo lavorato per questo e possiamo fare meglio, cominciando a vincere la prossima sfida con l’Inghilterra. Non dobbiamo aver paura di nessuno». Siamo vichinghi dice il duro Andersson che, in fondo, ha il cuore tenero. Nell’ottobre scorso, sul pullman che lo portava alla sfida con l’Olanda, gli è arrivata la notizia che era diventato nonno. Ha pianto davanti ai giocatori. Si può essere duri senza perdere la tenerezza. Andersson che in pensione si immagina magazziniere: «Vorrei rimanere nel calcio, stare negli spogliatoi, tenerli a posto. È una cosa bella e importante. Sentire i profumi, i giocatori che parlano, l’atmosfera. Ai miei dico sempre di lasciare in ordine lo spogliatoio. È questione di rispetto». La pulizia fa la forza.