CALCIO GLOBALE A «SCUOLA UNICA»
Lettere alla Gazzetta
Che noia mortale queste partite mondiali: decine di minuti inutili in attesa che un evento casuale possa sbloccarle; non-gioco in rapida diffusione; epiloghi all’insegna del fortuito; spettacolarità in picchiata… Marco Selciò Ok, non c’è l’Italia, ma questi mondiali stanno divertendo la gente: vedo partite emozionanti e un livello di gioco in crescita: il calcio mi sembra in salute… Giuseppe Assanzio
L’opinabilità è tutto in questa materia, e non solo. Se un’icona planetaria come Jane Austen veniva considerata un genio assoluto da Virginia Woolf ma letterariamente detestabile da Charlotte Bronte, possiamo ben farci una ragione di visioni opposte sul calcio. Dico subito che sono molto più vicino alla tesi del secondo lettore che non del primo, pur senza particolare enfasi. La tendenza a mio avviso più spiccata di questa rassegna russa è l’omologazione del gioco: tutti sono capaci di pressare, difendersi bene, tenere palla. Non era così fino a pochi anni fa. Partite a lungo bloccate? Sicuro, ma la percezione estetica del pubblico è cambiata: gli spettatori sono pazienti, hanno assorbito l’evoluzione e le sue conseguenze prima di noi critici. Qualcosa del genere è accaduto dagli anni 70 nel tennis, che si pensava non potesse sopravvivere alla progressiva scomparsa dell’elegante «servizio-volée»: profezia sballata. Un altro esempio: non esiste tecnico di basket che non trovi povera la deriva tecnica dell’aumento a dismisura dei tiri da tre punti. Ma il pubblico non la pensa come loro e continua a divertirsi. E’ possibile che il calcio cominci a somigliare ad un altro magnifico sport come il baseball, dove gli eventi-chiave sono diluiti in una partita a scacchi che occhi inesperti scambiano per lentezza. Il diffondersi della cultura tecnica in ogni parte del mondo porta alla progressiva evaporazione del concetto stesso di scuole nazionali: l’Inghilterra della palla lunga si è trasformata in una squadra che gioca con passaggi stretti (e presenta perfino qualche simulatore...); la Spagna è ormai molto lontana dal tiki-taka alla Guardiola e sta meditando a casa; l’Argentina, che sui libri di storia del calcio viene descritta come la mediazione di fantasia sudamericana e concretezza europea, è al momento una formazione qualsiasi, deludente come la Germania, che non è sopravvissuta a se stessa; formazioni nordiche come la Svezia somigliano alle nostre squadre degli anni 60. Non solo: a volte, da un punto di vista italiano, ci sorprendiamo ad invidiare la tecnica individuale dei centrocampisti giapponesi o messicani. Il concetto di «saltare l’uomo», contro difese implacabili, si trasforma in un episodio meno eclatante come la capacità di conquistare al difensore quel mezzo metro di spazio per poter crossare: vedi il movimento del belga Hazard per dare a Fellaini la palla del 2-2 col Giappone. In generale tutti somigliano a tutti, che giochino con 4 o 5 difensori: il giro palla paziente che parte da dietro è un rito comune, sovrapposizione e raddoppi sono pane quotidiano in Egitto come in Uruguay, il contropiede è patrimonio collettivo. Ma gesti tecnicamente memorabili se ne sono visti tanti in Russia, e non ne farò l’elenco. La differenza la fa, forse più di prima, il talento individuale, in un contesto dove le certezze indietreggiano mano a mano che avanza l’equilibrio. E non mi sembra una brutta direzione.