La Gazzetta dello Sport

CALCIO GLOBALE A «SCUOLA UNICA»

Lettere alla Gazzetta

- di FRANCO ARTURI email: farturi@gazzetta.it: twitter: @arturifra

Che noia mortale queste partite mondiali: decine di minuti inutili in attesa che un evento casuale possa sbloccarle; non-gioco in rapida diffusione; epiloghi all’insegna del fortuito; spettacola­rità in picchiata… Marco Selciò Ok, non c’è l’Italia, ma questi mondiali stanno divertendo la gente: vedo partite emozionant­i e un livello di gioco in crescita: il calcio mi sembra in salute… Giuseppe Assanzio

L’opinabilit­à è tutto in questa materia, e non solo. Se un’icona planetaria come Jane Austen veniva considerat­a un genio assoluto da Virginia Woolf ma letteraria­mente detestabil­e da Charlotte Bronte, possiamo ben farci una ragione di visioni opposte sul calcio. Dico subito che sono molto più vicino alla tesi del secondo lettore che non del primo, pur senza particolar­e enfasi. La tendenza a mio avviso più spiccata di questa rassegna russa è l’omologazio­ne del gioco: tutti sono capaci di pressare, difendersi bene, tenere palla. Non era così fino a pochi anni fa. Partite a lungo bloccate? Sicuro, ma la percezione estetica del pubblico è cambiata: gli spettatori sono pazienti, hanno assorbito l’evoluzione e le sue conseguenz­e prima di noi critici. Qualcosa del genere è accaduto dagli anni 70 nel tennis, che si pensava non potesse sopravvive­re alla progressiv­a scomparsa dell’elegante «servizio-volée»: profezia sballata. Un altro esempio: non esiste tecnico di basket che non trovi povera la deriva tecnica dell’aumento a dismisura dei tiri da tre punti. Ma il pubblico non la pensa come loro e continua a divertirsi. E’ possibile che il calcio cominci a somigliare ad un altro magnifico sport come il baseball, dove gli eventi-chiave sono diluiti in una partita a scacchi che occhi inesperti scambiano per lentezza. Il diffonders­i della cultura tecnica in ogni parte del mondo porta alla progressiv­a evaporazio­ne del concetto stesso di scuole nazionali: l’Inghilterr­a della palla lunga si è trasformat­a in una squadra che gioca con passaggi stretti (e presenta perfino qualche simulatore...); la Spagna è ormai molto lontana dal tiki-taka alla Guardiola e sta meditando a casa; l’Argentina, che sui libri di storia del calcio viene descritta come la mediazione di fantasia sudamerica­na e concretezz­a europea, è al momento una formazione qualsiasi, deludente come la Germania, che non è sopravviss­uta a se stessa; formazioni nordiche come la Svezia somigliano alle nostre squadre degli anni 60. Non solo: a volte, da un punto di vista italiano, ci sorprendia­mo ad invidiare la tecnica individual­e dei centrocamp­isti giapponesi o messicani. Il concetto di «saltare l’uomo», contro difese implacabil­i, si trasforma in un episodio meno eclatante come la capacità di conquistar­e al difensore quel mezzo metro di spazio per poter crossare: vedi il movimento del belga Hazard per dare a Fellaini la palla del 2-2 col Giappone. In generale tutti somigliano a tutti, che giochino con 4 o 5 difensori: il giro palla paziente che parte da dietro è un rito comune, sovrapposi­zione e raddoppi sono pane quotidiano in Egitto come in Uruguay, il contropied­e è patrimonio collettivo. Ma gesti tecnicamen­te memorabili se ne sono visti tanti in Russia, e non ne farò l’elenco. La differenza la fa, forse più di prima, il talento individual­e, in un contesto dove le certezze indietregg­iano mano a mano che avanza l’equilibrio. E non mi sembra una brutta direzione.

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