O Ney non è O Rei E la Seleçao di Tite così esce di scena
●Il c.t. pareva aver trovato l’equilibrio per vincere Ma i suoi ragazzi non avevano mai davvero brillato
Dal belvedere del Cremlino di Kazan lo sguardo spazia su tutta la città, e nell’aria chiara della mattina in mezzo ai vecchi tetti e alle coperture in vetro delle nuove costruzioni spiccava il murale di Neymar, una macchia gialla fresca fresca. Devono portare un po’ di sfortuna, questi dipintoni metropolitani. Fuori Cristiano Ronaldo, fuori Messi, ora fuori anche l’erede designato, quello che sembrava candidato per forza al Pallone d’oro e al Premio Fifa invece resterà a guardare, ultima stella caduta in fondo a una partita nella quale il finale in crescendo non è bastato. Nel secondo tempo Neymar ha provato a prendere in mano i suoi, ha quasi portato il Belgio ai supplementari con un tiro mirabile nel recupero, ma Courtois ha spiccato il volo, ha alzato la palla sopra la traversa e ha mandato a casa il Brasile. La marea di tifosi della Seleçao, molti russi, è sfilata silenziosa dallo stadio, con la Seleçao intera. Negli ultimi quattro Mondiali il Brasile è uscito tre volte ai quarti, e quattro anni fa era arrivato in semifinale, ma visto lo sconquasso del Mineirazo forse sarebbe stato meglio andarsene prima. L’ultima volta che ha vinto il Mondiale, nel 2002, il Brasile aveva anche eliminato il Belgio con un clamoroso errore arbitrale, un gol annullato a Wilmots, poi anche c.t. dei belgi, un trauma per la vecchia generazione di calciatori belgi. Con questo successo il trauma è stato superato, mentre il Brasile resta a curare i suoi. GIOVANI E VECCHI C’è gente al capolinea: Marcelo, Thiago Silva, Miranda, Paulinho. C’è chi ci riproverà di certo, Neymar e Gabriel Jesus, Coutinho. Ma c’è molto da cambiare per ripartire: Tite sembrava aver trovato l’equilibrio (15 risultati utili di fila, 11 successi), saldato i senatori logori e i nuovi scalpitanti, accarezzato con pazienza l’ego di Neymar del quale anni fa era stato critico feroce. L’operazione non è riuscita e ancora una volta i pentacampioni padroni del calcio tecnico rientrano ai box, mentre il Mondiale va nelle mani di giocatori meno appesantiti da pressioni, viaggi intercontinentali, coppe, milioni. Gente che non ha un Paese nei piedi, o forse sì, ma non si fa sgambettare dai nervi. È una caduta imprevista, anche se il Brasile per la verità non aveva ancora brillato. Sembrava pronto a scintillare dai quarti in su, quasi avesse programmato tutto con il calendario alla mano e il giorno della finale in testa. Pronto a recitare fino in fondo il ruolo di predestinato, come fosse logico che dovesse ricevere la coppa il 15 luglio, dopo tante lacrime. Invece O Ney il 15 luglio forse si tufferà al mare, o starà programmando il trasloco a Madrid. Non c’è stato bisogno di congiure europee per farlo uscire di scena e non c’è stata neppure un gran disperazione in campo. Occhi quasi asciutti. O per lo stupore, o perché forse il Brasile ha capito che di predestinati non ce ne sono più.