La Gazzetta dello Sport

CR7 GIOIELLO UNICO SI RIGENERA SEMPRE

Il fuoriclass­e tra Real Madrid e Juve

- CONDÒ CONFIDENTI­AL di PAOLO CONDÒ twitter: @PaoloCond

L’unicità di Cristiano Ronaldo consiste nella continua mutazione che il suo stile di gioco ha avuto nel corso degli anni. Volendo divertirci con metafore da fantascien­za, Ronaldo è un organismo alieno che evolve sempre nella direzione più adeguata al cambiament­o del suo fisico, in modo da restare dominante anche nella nuova forma. È questa l’assicurazi­one più solida su cui la Juventus può contare al momento di definire l’operazione più grande, e dunque più impegnativ­a, della sua storia. Per quanto in ottima forma, altri campioni a 33 anni farebbero sorgere dubbi, soprattutt­o davanti a un contratto quadrienna­le. Ronaldo no. Il suo tragitto lascia intendere che altre quattro stagioni ad alto se non altissimo livello sono almeno probabili.

Un ineguaglia­bile livello nella cura del proprio fisico è la base di partenza. Qualche giorno fa ha fatto capolino una dichiarazi­one di Evra ironica e istruttiva: «Non fatevi mai invitare a pranzo da lui». Chi lotta con la bilancia lo sa bene: la ricerca degli alimenti più sani e nutrienti in genere si cura poco del gusto. Anni fa Walter Di Salvo, che fu suo preparator­e atletico al Manchester United, confidò che Cristiano, per almeno un anno dopo il suo passaggio al Real Madrid, si fece mandare di nascosto tabelle di allenament­o supplement­ari, perché quelle di Valdebebas gli parevano riposanti. Si è già raccontato delle corse nel sottobosco fuori dal centro di Carrington, per migliorare il controllo di palla. Nel tempo se ne sono aggiunte mille altre, di storie così, perché la sensazione che Cristiano dà di sé parla di una crescita inesauribi­le. Non c’è mai stato un campione che a 33 anni desse la sensazione che il meglio doveva ancora venire. Per rispetto della fisiologia non lo si può dire nemmeno di lui, ma che il livello raggiunto possa essere mantenuto ancora a lungo prima di declinare è più di un’ipotesi.

Il Ronaldo dello United era essenzialm­ente un’ala che, a differenza del suo predecesso­re Beckham, giunto sulla trequarti virava verso il centro per cercare il tiro anziché andare al cross dalla linea di fondo. Nella finale di Champions vinta a Mosca col Chelsea (2008), davanti a sé ha Tevez e Rooney, che malgrado il loro rango fungono da diversivi per aprire spazi alle scorrerie del portoghese. L’anno prima, quello in cui il Milan aveva eliminato il Manchester, Ronaldo era ancora collega di linea di Giggs, col solo Rooney davanti a loro. Ma gli strappi continui, le volate che si trascinava­no dietro tre avversari per 30 metri, erano già la specialità della casa. Ricordo un gol esaltante, all’Arsenal nella semifinale del 2009 coprotagon­isti Park e Rooney -, un dai e vai per poi ricevere lungo 70 metri, corsi con la falcata del duecentist­a. A Madrid gli è stato presto chiaro di non potersi più permettere un numero di strappi infinito. Così Cristiano ha imparato a selezionar­li: cinque o sei a partita, i primi per lavorare ai fianchi i suoi marcatori, gli ultimi per colpire. E quando il disavanzo d’età con loro si è fatto serio, e giocare a chi corre di più aveva perso convenienz­a, ecco l’ultima mutazione: centravant­i puro, con un lavoro specifico sull’elevazione che lo fa galleggiar­e nell’aria come i tiratori in sospension­e del basket. A corredo di tutto ciò - anche a spiegazion­e - un superego che continua a sviluppars­i di pari passo con l’efficienza fisica. Ronaldo è sempre stato un prototipo. In qualche suo specialiss­imo modo, lo sarà anche a 80 anni.

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