Il cielo in Russia è Bleu, non Celeste E vent’anni dopo la Francia sogna
●Varane e Griezmann (complice Muslera) fanno fuori l’Uruguay. E in semifinale non c’è il Brasile...
Pierfrancesco Archetti INVIATO A NIZHNY NOVGOROD
La Francia in versione Deschamps vive una crescita costante e ambiziosa: fuori ai quarti nel 2014, finalista dell’Europeo 2016 e adesso la semifinale che al Mondiale mancava da dodici anni. Non è un tempo infinito, per testimoniare che la produzione di buoni calciatori non ha conosciuto una crisi irreversibile, ma soltanto dei passaggi a vuoto legittimi perché non tutte le generazioni possono equivalersi.
MATURI Questa nazionale dà l’impressione di essere matura, equilibrata nell’associazione tra talento e rigore tattico, tra sfrontatezza e rispetto. Lo studio dell’avversario porta la Francia a somigliargli. Con l’Argentina aveva seguito la sconsideratezza altrui, venendo a capo con il 4-3 da non insegnare ai futuri allenatori. Contro l’Uruguay invece riesce a confondere gli spettatori, perché non capiscono quale sia la vera squadra sudamericana, densa, speculativa, rognosa in ammonizioni, falletti e simulazioni: alla fine si comprende che è quella con la maglia bianca e non celeste, quella che vince con due soli tiri in porta, uno da calcio piazzato e un altro omaggio del portiere; però ne lascia soltanto uno serio agli altri.
I PROTAGONISTI Anche se ora non affronterà il Brasile ma il Belgio, Deschamps sembra rivivere l’estate di 20 anni fa: finì con lui capitano a sollevare la coppa del mondo. E nel giorno in cui Kylian Mbappé sente il peso dei complimenti extralarge, i Bleus costruiscono la semifinale con altri protagonisti: il difensore Varane, elegante ma abbastanza scaltro da scardinare il blocco tenero di Vecino e saltare prima di Stuani per l’1-0. Il portiere Lloris; non proprio considerato un eroe, se l’altro giorno i francesi hanno chiesto a Deschamps: «Se si va ai rigori, perché non sostituisce il portiere?». DD ha risposto sdegnato e ieri è andato a baciare il capitano che lo ha salvato prima dell’intervallo. Poi, per confermare che i giocatori sembrano tutti di una stessa squadra, segna anche Griezmann, che aveva profumato la vigilia con le sue storie uruguaiane, del tipo «mi sento uno di loro»; il padrino di sua figlia è Godin e tutto quello che fa Griezmann lo collega a Montevideo e dintorni. Anche quando stanga secco da fuori area, vede Muslera regalargli l’esultanza ma lui non la usa: resta fermo, come i (pochi) milioni di uruguagi.
I MOTIVI Il tema tattico annunciato e rispettato diventa comune. La Celeste è laureata come il suo allenatore Tabarez, ma non in Lettere, in compressione di spazi, sottrazione di ossigeno: discipline che si sviluppano grazie al soccorso collettivo e a un sistema di calcio «corporeo», praticato con tutti gli arti, non solo quelli inferiori. Mani, braccia, spalle servono per legare in piccoli recinti personali gli avversari, affinché non si trovino per una carica di gruppo, rapida. Mbappé così non brucia l’erba; quando Giroud sposta i pilastri celesti, il ragazzo di testa non prende nemmeno la porta. La Francia segna come avrebbe fatto l’Uruguay, se non ci fosse stato Lloris. E gestisce le frenesie con le stesse armi, con il palleggio sensato di Kanté, le incursioni di Pogba, la pressione di Tolisso (va a scippare la punizione del gol a Bentancur), il movimento di Griezmann, punta, esterno o trequartista. L’Uruguay senza Cavani perde troppo, perché Stuani non può somigliargli e Suarez non ha una spalla che faccia rendere il suo ondeggiare sporco e spalle alla porta. Guadagna qualche fallo, ma non raccoglie alcuna giocata in area. L’Uruguay si sostiene così sulla volontà di Caceres, Laxalt o Nandez. Tutto molto laterale, periferico, per far ansimare il 4-3-3 dei Bleus. Anche quando entrano Rodriguez e Maxi Gomez, il 4-3-1-2 diventa 44-2 o 4-2-4 ma senza andare al di là dei soliti grumi nervosi e approssimativi in area. La Francia è abbastanza adulta e sudamericana per non finire a terra.