La Gazzetta dello Sport

ARRIVEDERC­I SUDAMERICA È SUCCESSO SOLO 4 VOLTE

- di ANDREA SCHIANCHI

Il mondo si è ristretto. Un continente dopo l’altro se ne va: prima è toccato all’Africa poi all’Asia e ora al Sudamerica. Non resta che l’Europa a giocarsi il trofeo e fa abbastanza impression­e se si pensa alla globalizza­zione del pianeta, allo scambio delle persone, delle merci e delle idee. Invece vince la tradizione, vince un calcio più fisico e meno «bailado», vincono i muscoli più dei ghirigori, vincono le squadre e non i singoli. Già, perché se Messi e Neymar, cioè due dei tre più forti giocatori del mondo, sono stati eliminati (e anche il terzo, l’europeo Cristiano Ronaldo, è in vacanza da un pezzo), significa che l’individuo è fondamenta­le soltanto quando è integrato in un gruppo: da solo non va da nessuna parte. La superprest­azione di Hazard contro il Brasile ne è la dimostrazi­one: ha messo il suo immenso talento al servizio dei compagni (e ha vinto), mica come Neymar che ha insistito in dribbling tanto stucchevol­i quanto improdutti­vi (e ha perso). Soltanto 4 volte, nelle precedenti 20 edizioni del Mondiale, le semifinali non hanno visto nemmeno una nazionale sudamerica­na protagonis­ta: è accaduto nel 1934, nel 1966, nel 1982 e nel 2006. In tre occasioni su quattro ad alzare la coppa è stata l’Italia: ricordarlo, proprio adesso che gli azzurri in Russia non ci hanno messo piede, fa male. Ma, oltre che un motivo di rimpianto, deve servire come lezione per ripartire.

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