La Gazzetta dello Sport

Tutta un’altra storia Semifinali senza big I perché di un flop

calo fisico della Germania, il caos dell’Argentina, la poca personalit­à del Brasile Ma anche l’Italia non avrebbe fatto strada

- INVIATO A NIZHNY NOVGOROD Pierfrance­sco Archetti

Quindici titoli mondiali su venti edizioni sono volati lontani da questa coppa, arrivata alla penultima curva senza la presenza di quattro grandi: Brasile (5 vittorie), Germania e Italia (4), Argentina (2). Nella storia del torneo non si erano mai registrate semifinali senza almeno uno di questi giganti plurivinci­tori. Per trovare un turno così avanzato con quasi simile scarsità di teste coronate si deve risalire al 1966: fra le 4 sopravviss­ute della coppa Rimet (si chiamava così) soltanto la Germania Ovest ne aveva già una in casa. In Russia ora sono due: Francia e Inghilterr­a.

IL FALLIMENTO TEDESCO

Nell’analizzare i motivi di queste cadute, l’ordine cronologic­o vedrebbe davanti l’Italia, ma sarà lasciata per ultima, perché a Mosca nemmeno è arrivata. La Germania invece è sbarcata martedì 12 giugno con l’intenzione di non lasciare il trofeo ad altri. Joachim Löw puntava a diventare il primo allenatore a riuscire nella doppietta dopo Vittorio Pozzo (1934 e 1938), invece i tedeschi erano già fuori mercoledì 27, ultimi in un girone con Svezia, Messico e Corea del Sud. Per la prima volta non hanno superato il gruppo, dopo 4 semifinali consecutiv­e. Sono stati commessi errori sul piano fisico, con un gruppo sfiatato già dopo un quarto d’ora di torneo; su quello tattico, senza mai creare una sorpresa agli avversari, anzi venendo infilati con contropied­e puntuali e stimolati da piazzament­i amatoriali; ma anche il livello organizzat­ivo è nato male e finito peggio. La Germania, contrariam­ente alle abitudini, ha comunicato la sede del ritiro all’ultimo giorno utile, perché fonte di una accesa discussion­e interna. Però, vista la brevità del soggiorno russo, quest’ultimo aspetto è la scusa più superficia­le, da dibattito social, non la ragione profonda della catastrofe. I tedeschi hanno dormito a Vatutinki solo 10 notti, non sono quelle che hanno mandato allo sfacelo la spedizione.

LA RIVOLTA ARGENTINA

Che c’erano vistose crepe nei vicecampio­ni del mondo si era visto già nell’avviciname­nto, con i veti sulle convocazio­ni (Icardi) e il ruolo marginale imposto fin dai mesi scorsi a Higuain e Dybala. Ma il fattore Messi poteva coprire qualsiasi dissidio, ben evidenziat­o da un fallo velenoso del Papu Gomez (rimasto a casa) su Biglia (venuto, ma come se non ci fosse stato) in Atalanta-Milan di maggio. Invece Messi è stato triturato dalla tensione, dalle sue paure che si presentano quasi sempre in nazionale. Aggiungiam­oci un allenatore come Jorge Sampaoli, ossessivo e integralis­ta in alcune convinzion­i: del tipo che o lo segui con fedeltà cieca o lo butti a mare subito. Lo spogliatoi­o dell’Argentina ha scelto la seconda opzione. E comunque, fra conflitti generali e angosce personali, molti elementi, partendo dal portiere Caballero, non erano all’altezza per poter vincere una Coppa del Mondo.

DELUSIONE BRASILIANA

Sfumata la rivincita del famoso 7-1 del 2014 con la Germania, perché i tedeschi non si sono presentati all’appuntamen­to, il Brasile pensava di avere vita facile. Perché è riuscito a issarsi fino ai quarti prendendo soltanto un gol, da angolo. E poi davanti ci avrebbe pensato il quartetto fantasia (Coutinho, Neymar, Gabriel Jesus, Willian) oppure le riserve che valgono come i titolari, Firmino soprattutt­o. Invece si è sciolta anche la Seleçao più solida degli ultimi tempi, arrivata con un allenatore convertito al pragmatism­o dimostrato dalle 5 reti prese in 21 partite prima della Russia, diventate poi 6 in 25 dopo gli ottavi. Fosse entrato il palo (gol sbagliatis­simo, non sfortuna) di Thiago Silva dopo 8’ l’altra sera, non ci fossero stati l’autogol di bracciospa­lla di Fernandinh­o, o la mano di Courtois su Neymar all’ultimo respiro. Il Brasile potrebbe aggrappars­i agli episodi più di Germania e Argentina, però gli è mancata la personalit­à quando serviva; alla prima emergenza, è andato sotto senza più recuperare. I campioni, se si consideran­o tali come Neymar, devono uscire in questa circostanz­a.

ILLUSIONE ITALIANA

Finché le grandi sorridevan­o, era tutta una battuta sull’Italia: «Dove gioca?», «Chi incontra stasera?». Poi sono iniziate le eliminazio­ni eccellenti, anche Spagna e Portogallo, e sono calate le frecciate. Certo che la nostra Nazionale è stata un fantasma vagante e presente in Russia. Dai rimpianti dei grandi ex stranieri (sinceri?) a quelli del normale tifoso: dove saremmo potuti arrivare in questa mattanza di big! Piano. L’errore da non commettere per la ricostruzi­one azzurra è quello di pensare che se qui tanti hanno deluso, noi avremmo avuto un cammino comodo. Dagli ombrelloni o dai salotti tv viene la tentazione di crederci, ma siamo sicuri di essere più tecnici dei croati, più preparati fisicament­e dei messicani, più uniti degli uruguaiani o più determinat­i della Svezia giunta ai quarti? Esempi minimi, si potrebbe continuare. Proprio queste semifinali sono la distruzion­e di passato, trionfi e tradizione. Credere di essere più bravi di chi ci è arrivato è una bullaggine da spiaggia che l’Italia non si deve permettere, se vuole rialzarsi.

Nella storia dei Mondiali una delle quattro grandi era sempre arrivata in semifinale

Russia solo due nazionali rimaste hanno già vinto la coppa: Francia e Inghilterr­a

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La disperazio­ne dei tedeschi Mario Gomez e Mats Hummels GETTY

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