FEDERER CADE GIÙ DAL TRONO NADAL A FATICA SU DEL POTRO
● Lo svizzero è avanti 2-0 ma poi cede alle «bombe» del sudafricano (alto 2.03): «Giornata no, ma tornerò»
Lo svizzero, 8 volte vincitore a Wimbledon, eliminato da Anderson. Lo spagnolo in 5 set conquista la semifinale
Il Re è caduto. Il Re è distrutto. Federer non abita più qui. Un tonfo che viene dall’alto, dai 203 centimetri di un gigante buono cresciuto ai bordi della savana e capace, in quattro ore e 14 minuti non spettacolari ma intensissimi e palpitanti, di cancellare il passato e la storia fermando la corsa del signore indiscusso di questi prati. Anderson, il ragazzo di Johannesburg che adesso guarda l’oceano dalla sua casa in Florida, non era mai arrivato ai quarti a Wimbledon e soprattutto non aveva mai strappato un set al Divino in quattro precedenti: in un pomeriggio, realizza la sua rivoluzione gentile con 28 ace e 65 vincenti incisi della carne e nel sangue del più grande di sempre, perdipiù nel giardino di casa.
CHE OCCASIONE Eppure, trascorsi 78 minuti nell’insolito scenario, per Roger, del Campo numero 1 (non ci giocava dal 2015), la partita assomiglia al solito tran tran delle sfide di prima: due set a zero (34 di fila, record suo eguagliato) per Federer, tornato a perdere il servizio dopo 85 turni di battuta ma in totale controllo tecnico e mentale della contesa. Poi, assecondando le ombre che le nuvole sopra il cielo londinese proiettano sull’erba ormai consumata, l’otto volte campione si ottenebra, perde brillantezza nel gioco di piedi, si illanguidisce in rovesci slice poco incisivi e soprattutto smarrisce il dritto (alla fine 22 gratuiti): «Era un giornata così, né buona né cattiva, una di quelle giornate mediocri che ti capitano in un anno, dove non riesci più a alzare il tuo livello quando serve». Ma i tormenti improvvisi, certo amplificati da un avversario che ritrova la battuta e anche la consistenza da fondo, possono evaporare se il Divino, sul 5-4 del terzo set, sfruttasse il match point sul servizio del sudafricano, che invece lo annulla con una prima seguita da un attacco profondo e vincente: «Lì - confesserà lo svizzero abbacchiato ho capito che il match mi stava sfuggendo di mano». CRESCITA MENTALE Più che il quarto set, deciso da un unico break, è il quinto a diventare l’epitome della frustrazione: Roger serve sempre per primo, per due volte arriva a due punti dalla vittoria e invece si consegna al break decisivo con un doppio fallo e un dritto sbilenco. Addio ai sogni, addio alla possibile nona sinfonia, per la quinta volta in carriera Fed perde una partita da 2-0 sopra e per la ventesima con un match point a favore: «Certo che sono deluso, non so se impiegherò mezz’ora o una settimana per dimenticarla. Non mi sento come se avessi un lavoro da finire qui, mi sembra che gli affari mi siano andati bene per me in passato, mi rivedrete l’anno prossimo. E comunque complimenti a Kevin».
SORPRESA Meritati, meritatissimi, perché dopo la finale da semplice invitato agli Us Open dell’anno scorso, il numero 8 del mondo mostra grande solidità e consistente tenuta mentale: «A New York ero molto emozionato, tutto era così nuovo per me che in finale ho pagato la tensione. Credo di essere cresciuto molto nella gestione della pressione, anche se avevo perso i primi due set sono rimasto calmo perché mi ero accorto che tutte le parti del mio gioco si stavano rimettendo insieme». E’ il settimo sudafricano in semifinale nel tempio: «Voglio essere un esempio, è così difficile da noi arrivare così lontano. Con Roger, prima di questa volta, non mi ero mai dato una chance. Per questo sono davvero orgoglioso di me».
Il sorriso del gigante.
LA CHIAVE
Lo svizzero ha avuto un match point a favore. Per la 5a volta ha perso da sopra 2-0
«Sfumata l’occasione, ho capito che l’incontro mi stava sfuggendo di mano»