ANDERSON CONTRO ISNER E’ LA SFIDA DEI GIGANTI
● Superano i due metri e battono oltre i 220 km/h. Il sudafricano è forte anche in risposta, lo statunitense non ha ancora perso il servizio Oggi nelle due semifinali saranno in campo per la prima volta 4 giocatori over 30
In questo circolo c’è chi si è meritato una statua: Fred Perry. Oppure chi è stato immortalato dai versi di una poesia: Rudyard Kipling. E poi c’è lui, John Isner, onorato di una targa sul Campo 18 per celebrare la partita delle partite, quella più lunga di sempre, il 70-68 dopo 11 ore e 5 minuti (spalmate su tre giorni) con cui batté Mahut nel 2010. Un ricordo per l’eternità.
MATRIMONIO E CENA Poche storie, fino a due settimane fa la relazione con Wimbledon dell’americano gentile si sostanziava tutta in quell’evento straordinario, anche perché da allora i successi su questi prati erano stati pochini, appena nove. Ma il nuovo corso del ragazzone del North Carolina, per la prima volta in una semifinale Slam al 41° tentativo e a 33 anni, chiedeva solamente un clic extratennistico che liberasse la mente dalle scorie di un paio di stagioni sotto tono. Ci hanno pensato il matrimonio e una cena. Il 2 dicembre John si è sposato con Madison (ora lei aspetta una bambina) e la luna di miele ai Caraibi è durata appena sette giorni per non sottrarre tempo alla preparazione: «Ho fatto un passo molto importante, per la carriera sarà un vantaggio». Solo che fino a marzo l’assioma sembra non funzionare: appena due vittorie. E allora coach Macpherson lo invita al ristorante e gli spiega che ormai non è più una questione tecnica, ma solo di testa quando scende in campo. Il faccia a faccia è dirompente: pochi giorni dopo Isner conquista a Miami il primo Masters 1000 in carriera, torna nei primi 10 e mette insieme la miglior stagione della vita sublimata dalla grande cavalcata ai Championships.
PIU’ ALTI Che oggi potrebbe proiettarlo addirittura in finale, primo statunitense da Roddick nel 2009: intanto Long John è l’unico giocatore dal 1992, anno in cui si è cominciata a conteggiare la statistica, a raggiungere il penultimo turno senza aver perso nemmeno un servizio (95 su 95). E’ anche il numero uno negli ace di questa edizione (161) e il più alto di sempre (2.08) arrivato così avanti. Una semifinale gigantesca, nel senso letterale del termine, e mai vista: il rivale Anderson tocca i 2.03, per un totale sul campo di 4 metri e 11. E’ l’avverarsi della profezia di Ferrer, che nel 2015 si spinse a ipotizzare che i giocatori come lui (è 1.75) sarebbero scomparsi nel giro di dieci anni e che anche i Federer e i Nadal (entrambi 1.85) sarebbero stati in difficoltà? Dal 1990 a oggi l’altezza media dei primi 100 è aumentata di due centimetri e i giocatori sopra l’1.96 sono quasi il 20% rispetto al 3% di allora. Da quelle vette, la battuta diventa perciò un’ arma non convenzionale (Anderson a sua volta è a quota 123 ace nel torneo con appena 9 servizi su 110 persi), in particolare sull’erba dove i rimbalzi meno accentuati rendono più difficile leggere le traiettorie. Inoltre bisogna aggiungere l’estensione del braccio e della racchetta, che aumenta la rapidità di esecuzione e la probabilità di centrare comunque il rettangolo del servizio anche quando la palla non esce alla perfezione dal piatto corde.
PIU’ VECCHI Ma sarebbe sbagliato, nonostante l’ovvia incidenza del colpo iniziale sul loro gioco, considerare Isner e Anderson due interpreti monotematici. Il sudafricano, contro Federer, ha vinto perché è salito di livello con la risposta e ha retto negli scambi da fondo, mentre l’americano contro Isner ha ottenuto 30 punti su 37 a rete. Inoltre, pur non potendo competere in agilità con i normodotati, da anni stanno lavorando con profitto sugli spostamenti laterali. Semmai, resta da chiedersi se la Next Gen, dopo i lampi di inizio anno, non sia un bel castello di carte: per la prima volta nell’Era Open uno Slam ha quattro finalisti sopra i trent’anni. Un paese per vecchi.