La Gazzetta dello Sport

Pedrosa, addio e rimpianti Una leggenda senza Mondiale

●Dani a fine stagione dirà basta senza essere riuscito a conquistar­e la MotoGP «Quante cadute: i giorni in cui ho fatto quello che ho voluto si possono contare»

- Mario Salvini INVIATO A HOHENSTEIN-ERNSTTHAL (GERMANIA)

L’uomo che non è mai riuscito a essere grande come avrebbe voluto ha deciso che è venuto il momento di non provarci più. E anche in questo passo d’addio ha dimostrato di essere, se non il più bravo, il più umano. Il più vero. Dani Pedrosa ieri ha detto che le 11 gare da qui alla fine di questo 2018 saranno le ultime. Per lui non ci saranno altre stagioni, né altre moto al di fuori della Honda. Con quella ha cominciato nel 2001. Con quella, 18 stagioni dopo, chiude e se ne va. Ha 3 Mondiali conquistat­i da ricordare, 54 vittorie da esibire, 16 fratture da maledire. Gli manca quello che voleva più di tutto: il Mondiale «dei grandi». Non sarà mai campione del Mondo della MotoGP. «E se lo sarebbe davvero meritato», ha sentenziat­o a nome di tutti Valentino Rossi.

LEGGENDA Però Dani sarà per sempre una Leggenda. Carmelo Ezpeleta, nel cui abbraccio Dani è quasi scomparso, ha annunciato che la Dorna lo inserirà fin da subito della Galleria dei grandissim­i del Motociclis­mo. La proclamazi­one a Valencia. Lui ha sorriso, orgoglioso e un po’ a disagio. E poi ha spiegato. «È stata una decisione difficile, ci ho pensato tanto tempo. Ma era una questione di priorità di vita e di sport. E di onestà verso me stesso: ho sempre vissuto le corse con una certa intensità, farlo in modo diverso non avrebbe avuto senso». Ovvero: Dani è stato tutta la carriera su una Honda ufficiale e, sempliceme­nte, non se l’è sentita di andare sulla Yamaha di un team satellite. «Ho avuto più di quello che mi sarei aspettato, in fondo il mio sogno era di diventare un pilota». Infatti quando gli hanno chiesto di scegliere un momento, tra 16 stagioni e mezzo in cui ha sempre vinto almeno un GP (come nemmeno Rossi), lui

è andato ancora più indietro. «Jarama, 1999: i test di selezione per giovani che aspiravano ad andare al Mondiale». Il giorno in cui Alberto Puig, lo stesso che dopo mille vicissitud­ini è oggi il suo team manager, ha deciso che sì, quel ragazzino col fisico da fantino sarebbe stato un pilota vero. È a quel punto del racconto che la voce di Dani si è spezzata. Un singhiozzo. «Fortunatam­ente ne ho tanti di momenti da ricordare». Altro singhiozzo. Sorriso.

RIMPIANTI Il capitolo è inevitabil­e. Pedrosa ha scartato il più ovvio, il Mondiale mancato in MotoGP: «Io ho sempre dato tutto me stesso, al mille per mille. Ed è così che voglio essere ricordato». È un altro il vero rammarico, che fa rabbia e tenerezza: «Mi sarebbe piaciuto essere più forte, più robusto. Avrei voluto saper assorbire diversamen­te le cadute». E invece ogni volta era un trauma, una frattura. «Sì certo, le lesioni hanno avuto un peso nella mia decisione. A ben pensarci in tutta la mia carriera i giorni in cui con la moto ho fatto davvero quello che ho voluto si sono contati». Dev’esser così che si spiega una frase di Valentino: «C’erano gare in cui diventava imprendibi­le».

APPLAUSO Quando Dani ha finito di raccontare, tutti, in una sala stampa stipata, hanno battuto le mani. Sembrava che nessuno volesse smettere per primo. Singolare riconoscim­ento a un uomo e un campione vero. Che nel brutto giorno in cui ha capito di non poter arrivare dove avrebbe voluto, lo ha accettato con un sorriso.

VOLEVO SOLO FARE IL PILOTA: HO AVUTO PIÙ DI QUANTO MI ASPETTAVO

CI HO PENSATO SU, MA ERA UNA QUESTIONE DI PRIORITÀ DI VITA E DI SPORT

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