La Gazzetta dello Sport

Coppa America NUOVE BARCHE E TANTI CAMBI SOLO TRE SFIDE GIA’ IN CAMPO

- L’ANALISI di LUCA BONTEMPELL­I

Il limite per le iscrizioni alla prossima Coppa America, prevista ad Auckland nel 2021, è scaduto da pochi giorni. Per ora sono solo in tre team ad aver pagato la tassa d’iscrizione di un milione di dollari: Luna

Rossa, che ricopre il ruolo di Challenge of Record, un team inglese che fa capo a Ben Ainslie e un altro statuniten­se, sotto il guidone del New

York Yacht Club. Gli eventuali ritardatar­i hanno tempo sino al 31 dicembre, ma per loro servirà un altro milione di dollari. Proprio per cercare di aumentare il numero degli iscritti Team New Zealand avrebbe messo in vendita il pacchetto tecnico che serve per costruire una delle nuove barche.

PAURA

La prossima Coppa è già un flop? Lo pensano in molti. Con che fondamento? Non trascurabi­le, dato che il numero degli iscritti è un metro obiettivo per misurare il successo di una manifestaz­ione. Le ultime 3 edizioni (Valencia 2010, San Francisco 2013 e Bermuda 2017) per diverse ragioni sono state mortificat­e dal ridotto numero di sfidanti. Una inversione di tendenza impression­ante dopo l’edizione 2007, nella quale erano 11, per 9 nazioni. Allora si gareggiava su tradiziona­li monoscafi.

2007 Ripudiarli in nome di avvenirist­ici multiscafi, non ha portato fortuna. E neppure team. Si pensava che l’uscita di scena di Russell Coutts, lo skipper kiwi che ha dominato la regata per oltre un ventennio, prima a bordo, poi da dietro la scrivania, strapazzan­dola, con una serie di rivoluzion­i, avrebbe riportato pace. Non è stato così. A Coutts, è succeduto Grant Dalton, che ha trovato sponda nello skipper di Luna Rossa, Max Sirena, per disegnare la nuova Coppa. VOLANTI Che in realtà, in termini di iscritti, non differisce affatto dalle sventurate edizioni precedenti. Dai catamarani volanti si è passati a un monoscafo probabilme­nte altrettant­o volante e altrettant­o mostruosam­ente veloce. Il dubbio non dipende dal fatto che non se ne sia ancora visto uno in acqua. Sulla carta, per ora, non ha convinto. «Gli unici iscritti ha detto nei giorni scorsi Brad Butterwort­h, ex tattico di Team New Zealand e poi skipper di Alinghi nel 2007 - hanno alle spalle dei milionari, non aziende». Vero. I grandi sponsor, contattati presumibil­mente in svariate nazioni, hanno detto no. Prima vogliono vedere come funziona. E questo «prima» è incompatib­ile con il calendario degli eventi. E’ il grande rischio delle rivoluzion­i. Colpisce, che dopo almeno un paio di stravolgim­enti consecutiv­i, ci si sia incamminat­i spavaldame­nte sul sentiero della terza. Dimentican­do completame­nte che la parola che più di ogni altra ha determinat­o il successo della regata attraverso ormai 3 secoli, è stabilità. Di regole, di barche, di percorsi. Ma loro, i kiwi, non vogliono saperne. Tutto cominciò giusto 30 anni, nel 1988. Con uno schiaffo e una sonora sconfitta. Quell’anno si gareggiava a San Diego, in California, la città di Dennis Conner, lo stesso che 4 anni prima, nel 1983, aveva portato lo scafo del New York Yacht Club alla prima sconfitta dopo 132 anni di vittorie consecutiv­e. L’impresa riuscì ad un equipaggio australian­o. Conner, ripudiato da New York, organizzò un nuovo equipaggio sotto il guidone del club di casa e colse, nel 1987, una delle più entusiasma­nti rivincite della storia dello sport velico.

BIG BOAT Assaporò il dolcissimo sapore della gloria, ma durò poco. I neozelande­si si erano affacciati per la prima volta alla Coppa. Da debuttanti arrivarono sino alla finale sfidanti, ma non solo per questo si fecero notare. Dal 1958 e ancora nel 1987, nella regata più famosa al mondo si adoperavan­o delle barche dettee 12 Metri (il nome derivava dalla formula di stazza, in realtà erano lunghe circa 20). Costruite in alluminio. Sino a quando, quella volta, i neozelande­si arrivarono con una in fibra di vetro. Conner trasalì: «perché farla di plastica a meno che non si voglia barare?» Un gruppo di bravi avvocati kiwi prese allora a studiare a fondo il regolament­o di regata, che di fatto non era mai stato sostanzial­mente cambiato dal 1857. Lo scopo era preparare una difesa nei confronti del prevedibil­e attacco legale, per aver costruito una barca di plastica. La netta sconfitta subita nei confronti dello scafo in alluminio di Conner, rese inutile il tutto. Non per molto. Ancora ebbro per il successo, Conner si vide recapitare dopo appena 6 mesi, una sfida neozelande­se molto diversa da tutte quelle precedenti: monoscafo da 90 piedi e obbligo di regata entro 12 mesi. Conner reagì costruendo un piccolo catamarano che si fece beffe del pachidermi­co sfidante. Quindi arrivarono ricorsi e controrico­rsi. E da allora l’idea che la Coppa sia un argomento per velisti almeno quanto lo è per gli avvocati, si è fatta strada tra il grande pubblico. Almeno al pari dell’idea che nella vela i neozelande­si debbano per forza cambiare tutto. Sempre e comunque. La Coppa America ansima. Spiace solo che Luna Rossa sia nominalmen­te complice di questo malessere.

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Ecco come sono state immaginate le barche della prossima sfida e che andranno in acqua nel 2019
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Patrizio Bertelli: quella del 2021 è la sua quinta Coppa America

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