La Gazzetta dello Sport

SCALATORI SPARITI QUINTANA COMPARSA

Il Tour conferma una tendenza del ciclismo

- LO SPUNTO di LUCA GIALANELLA email: lgialanell­a@rcs.it

Al di là di tutto, in particolar modo delle valutazion­i sulla giustizia sportiva che si possono o meno condivider­e, come può un corridore pedalare sereno nella gara più importante del mondo quando ti sputano addosso, ti insultano prima che la corsa cominci, rischiano di farti cadere come è successo ieri a Thomas in maglia gialla nel rettilineo d’arrivo e un gendarme, con modi spicci (pari a quelli usati contro i contadini due giorni fa), butta giù Froome che sta tornando al pullman della squadra, scambiando­lo per un tifoso qualsiasi? Bene, questo è stato il Tour de France partito dalla Vandea. Un clima infernale che ha circondato il team Sky e che ha superato ogni educata protesta sportiva. Per la prima volta dopo tanto tempo, il ciclismo ha preso il peggio dello sport, cioè il tifo più becero, quello che non rispetta l’avversario.

La partenza con le griglie stile F.1 o MotoGP, o più sempliceme­nte imitazione delle più modeste Granfondo cicloamato­riali, è servita più per lo show e lo spettacolo, che per una motivazion­e tecnica: c’erano persino i semafori a dettare i secondi al via. Ma dieci metri dopo la partenza, erano in testa corridori che si trovavano ben oltre la metà classifica. E’ iniziata così la più corta tappa di montagna della storia del Tour, che in cima all’inedito Col du Portet ha dato almeno tre verdetti.

La corsa è nelle mani di Geraint Thomas, simpatico gallese cresciuto nel 2007 in Italia con la Barloworld di Claudio Corti. Più indiscipli­nato di Froome, che arrivò nel team britannico-sudafrican­o un anno dopo Thomas. Sky, dal 2012, ha vinto 5 Tour: uno con Wiggins in quell’anno, quattro con Froome. E se Chris era il delfino di Wiggo, non c’è nessuno che sia stato in questo periodo l’alternativ­a di Froome: lo stesso Thomas, maglia gialla per quattro giorni nel 2017, non aveva mai dato prospettiv­e sicure di trionfo finale. E alla fine, in questo tribolato 2018, culminato con la maglia rosa del Giro sui Fori Imperiali a Roma, Froome paga paradossal­mente la forza estrema di Sky. Corazza impenetrab­ile agli attacchi avversari, ma camicia di forza che ha impedito qualsiasi controffen­siva, anche di Froome: quanti attacchi dei rivali ci sono stati in 17 tappe? Solo ieri è stata data via libera all’azione di Nairo Quintana, in classifica a oltre sei minuti da Thomas: il colombiano non faceva paura. E quel simpatico gallese, sui Pirenei più arcigni, ha dimostrato di avere le gambe giuste. Sky si può fidare e puntare tutto su di lui per il trionfo di domenica.

Il Tour ha perso la sua anima di fantasia e imprevedib­ilità con il ritiro di Nibali dopo il fattaccio dell’Alpe d’Huez. Bardet è la brutta copia del corridore coraggioso che aveva provato a sfidare SkyPower negli ultimi anni. E Quintana, lui, il miglior scalatore con Contador dopo l’era di Pantani, in attesa che Aru sia più continuo, è diventato una comparsa. Diciamolo ancora una volta: nel ciclismo moderno sono scomparsi gli scalatori puri. A vent’anni dalla doppietta Giro-Tour di Pantani, quelle immagini di uno scalatore, mani basse sul manubrio, che scattava a ripetizion­e, tornante dopo tornante, e faceva il vuoto, non esistono più. La classifica del Tour lo certifica: Thomas, due volte olimpionic­o e tre volte iridato del quartetto in pista; Dumoulin, campione del mondo della crono; Froome, supercrono­man. Il ritmo del gruppo è quello di chi spinge rapportoni. Tanto che fa molta più differenza una salita al 6-7% di Mortirolo o Marmolada, per esempio. Lo si è visto anche nel Giro d’Italia Under 23: gli scalatorin­i sono la mosca bianca, i giovani dilettanti sono stile-Dumoulin o simil-Froome, alti, magri, perché questo è ciò che vuole il profession­ismo. Le emozioni? Ripassare alla prossima tappa.

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