La Gazzetta dello Sport

Tutta la sofferenza del supereroe «Mai un dolore così»

●Dopo quel volo di 8 metri, non poteva camminare da solo. Eppure è arrivato, a 38’. La «verde» è sua

- Ciro Scognamigl­io INVIATO A LARUNS

Stavolta neppure i fedelissim­i pensavano che ce l’avrebbe fatta. Non dopo avere visto Peter Sagan reggersi a stento in piedi al mattino, camminare zoppicando verso il bus, e bisognoso di una spinta per salirne i gradini. «Considerat­o che sono dovuto stare in bici sei ore… sì, forse è stata la giornata in cui ho sofferto di più in tutta la mia carriera», dice il tre-volte iridato quando tutto è andato per il meglio: diciannove­sima tappa conclusa entro il tempo massimo e maglia verde blindata.

POTERI Ma allora la sofferenza è concetto conosciuto anche a Peter Sagan, che più spesso appare come un supereroe? Sì. Se la risposta non era così scontata, la colpa è sua. E anche nostra. Lui ci ha abituato troppo bene, tra imprese a ripetizion­e, acrobazie da funambolo e potenza debordante. Noi ci siamo dimenticat­i che è umano. Che resta uno di noi, pur se incredibil­mente talentuoso in tema di ciclismo e non solo. E’ da giovedì, da dopo la caduta in discesa nella tappa del Col du Portet, che Sagan si trascina. Un volo «di circa otto metri», un violento AP impatto del sedere contro una roccia. Abrasioni, ferite, una gamba tutta fasciata. E pensare che la maglia verde – la sesta in sette anni – era già blindata. Deve ‘solo’ arrivare a Parigi. Ma in quelle condizioni non è scontato. E ieri, nel tappone pirenaico, Peter ha cominciato visibilmen­te a soffrire da subito: le telecamere ne hanno vivisezion­ato l’andatura sbilenca, la continua ricerca d’acqua, la maglia aperta, la sofferenza. I compagni Oss, Bodnar e Postlberge­r non l’hanno perso di vista un attimo. Unico obiettivo: finire entro il tempo massimo. La missione si compie dopo 38’23” dall’arrivo di Primoz Roglic: il limite era di 45’57”.

PAROLE Sono quasi le sette della sera quando il 28enne slovacco della Bora-Hansgrohe si presenta in zona mista. «Lo vedete con la faccia rilassata perché sa che va in television­e e allora si sforza – dice chi lo conosce bene con un sorriso – ma in realtà sta soffrendo ancora». «Giornata lunga – spiega Sagan -. Ma se vedi l’uscita del tunnel… per la testa è meglio. Mi sono detto che se avessi resistito per 5-6 ore… era fatta. Non sto soffrendo perché mi sono rotto qualcosa. Sto soffrendo perché da un giorno all’altro ho perso tutta la condizione che avevo. E adesso mi trovo in coda al gruppo, mi stacco, non riesco a fare le cose che facevo prima. La sofferenza è nelle gambe, perché non ce la faccio a spingere. Mi fanno male i muscoli. Anche il respiro è diverso. Però… è così. Devo dire un grazie enorme ai compagni. Mi hanno dato forza, e una mano in pianura, c’era vento contro e non era facile. Questa tappa per me vale più di una vittoria».

SEMPRE Daniel Oss è il suo compagno di camera al Tour. Il trentino è uno di quelli che stanno osservando più da vicino la sofferenza del capitano. «Si è visto il suo lato umano – spiega al traguardo -. Abbiamo cercato di non andare in panico, di stare tranquilli. Lo stress del tempo massimo nella testa c’era, qualche momento di timore c’è stato. Il muscolo non ti dà quello che cerchi, non riesci a pedalare, e soffri. Anche se non ha alzato le mani, ha vinto. Sagan dà l’impression­e di essere un supereroe. Ma, come tutti, ha i suoi limiti». Proprio così. E allora grazie, Peter. Per avercelo ricordato.

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Tutto fasciato sul lato destro, con un ematoma al gluteo, Peter Sagan, 28 anni, ha inseguito sin dal via
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