Berrettini conquista Gstaad «È solo un punto di partenza»
●Un anno fa non era ancora tra i primi 200 e ora completa la settimana perfetta dei tre trionfi italiani
Dal mare alla montagna per scoprire che i miracoli non esistono, ma sono solo la proiezione nella realtà del lavoro, del sacrificio e della fiducia in se stessi. Il 23 luglio di un anno fa, a San Benedetto del Tronto, Matteo Berrettini vinceva il primo torneo Challenger della carriera e poteva assaporare finalmente l’ingresso tra i 200 migliori giocatori del mondo. Aveva 21 anni e tre mesi, né presto ma neppure tardi se l’obiettivo non è un numero fine a se stesso, bensì la costruzione graduale di una base tecnica, fisica e mentale che ti tenga al top: «Insieme a quello, ci metto pure il Challenger di Andria nel 2016 e la finale persa contro Vanni, perché quella settimana mi fece capire che potevo avere una carriera nel tennis. Ma certo non pensavo di poter raccontare di un titolo Atp appena un anno dopo».
CUORE E CORAGGIO Il romanzo di Matteo è ancora alla prima pagina, ma l’opera è già d’autore: d’ora in avanti, dopo il trionfo a Gstaad, il cielo dei grandi diventa casa sua e il pane duro degli appuntamenti minori solo un ricordo da conservare per mantenere l’umiltà dei forti. Che vittoria, il battesimo di un campione: «Berretto» non ha mai perso il servizio in 49 turni di battuta, aiutandosi con il coraggio e lo sfrontato talento della gioventù nei momenti caldi e affidandosi a 54 ace complessivi in 5 partite, di cui 17 nella finale contro Bautista Agut e addirittura sei nel tie break del primo set che marchierà a fuoco l’esito della sfida contro il numero 17 del mondo. Lì, Matteo si sottrae a due delicatissimi set point (sul primo lo spagnolo è sciagurato con un doppio fallo) e poi con il solito dritto bum bum si prende il parziale, continuando a martellare anche nel secondo fino al cedimento del rivale, mai in grado di procurarsi una palla break in tutto l’incontro. L’apoteosi: Berettini diventa il 24° italiano a vincere un torneo nell’Era Open e l’unico con Panatta (Kitzbuehel 1975) a fare il bis in doppio nello stesso giorno (con Bracciali): «E’ assolutamente incredibile. Credo di aver giocato il miglior tennis della mia carriera, dedico il titolo alla mia famiglia: è da quando sono ragazzino che hanno creduto in me, mi hanno accompagnato ovunque, anche in posti meno belli di questo: sono molto orgoglioso di loro. E poi c’è Vincenzo Santopadre, il mio coach, per me è un secondo papà, anche se non era qui e ho vinto. Forse dobbiamo cambiare qualcosa...»
TESTA Massì, nel giorno più bello della vita (fin qui) ci si può abbandonare allo scherzo, anche perché una delle doti più marcate di Matteo è la solidità di testa, come fa sapere di rimbalzo da Roma proprio Santopadre: «E’ il premio al lavoro, un cammino a volte complicato che però sta percorrendo con grande impegno e dedizione. Bisogna restare con i piedi per terra, ma lui in questo è perfetto, è un ragazzo serio. E poi ha grandi margini di miglioramento. La sua prima qualità? Un’enorme forza mentale». Una caratteristica del nuovo corso azzurro, incarnato pure da Cecchinato: giocatori che sanno vincere le partite. Dici poco. E intanto in una settimana il tricolore si è piantato su tre tornei (con Fognini, Ceck e appunto Berrettini), come solo nel 1977 con Panatta (Houston), Bertolucci (Firenze) e Barazzutti (Charlotte). In quell’anno vincemmo sette tornei, un record: ora siamo a cinque. Avete capito bene: possiamo addirittura fare paragoni con l’epoca d’oro. Eppure Matteo, l’ultimo dei nostri eroi, da oggi 54 del mondo, vola basso: «E’ solo un punto di partenza, devo migliorare ancora molto». Verso un orizzonte infinito.
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IL NUMERO Vincitori italiani più giovani di lui (22 anni e 3 mesi): Pistolesi, Pescosolido, Panatta, Cancellotti e Canè
Finale (501.345 , terra): BERRETTINI b. Bautista Agut (Spa) 7-6(9) 6-4. Doppio: BERRETTINI/BRACCIALI b. Molchanov/Zelenay (Ucr/Slk) 7-6 (2) 7-6 (5).