La Gazzetta dello Sport

THOMAS, L’IMPORTANZA DELLA PISTA

Il vincitore del Tour

- LO SPUNTO di LUCA GIALANELLA email: lgialanell­a@rcs.it

Qualche giorno fa, Elia Viviani si è allenato sulla pista del velodromo Vigorelli a Milano. Non c’era mai stato, lui, olimpionic­o dell’Omnium a Rio 2016 e miglior interprete degli anelli dal periodo di Martinello e Villa. Viviani è un velocista, la sua interpreta­zione è finalizzat­a all’ultimo chilometro, eppure il campione italiano su strada non sarebbe mai arrivato a questo livello senza la decisiva esperienza nei velodromi. E non è soltanto il colpo d’occhio, la capacità di sgusciare come gatti anche dove non si potrebbe passare, la frequenza di pedalata, etc. Fare pista significa sintonizza­re il cervello su frequenze diverse. Vuol dire saper ragionare in frazioni di secondo, va bene, e affrontare scogli di fatica intensissi­ma, più volte per unità di tempo. Vuol dire vedere davanti a sé, per milioni di volte, quella riga azzurra che indica, sul legno, la strada da seguire. Nessuno, più di un pistard, riesce a gestire sforzi, fatica e concentraz­ione nello stesso istante.

Quando eravamo al Vigorelli, il discorso è scivolato, con il c.t. Villa, su Geraint Thomas, che il tecnico cremasco ricordava benissimo giovane ragazzino talentuoso, che adesso è il nuovo padrone del Tour. Il percorso di Geraint Thomas è partito a 10 anni da una pista all’aperto (e siamo in Galles!) del Maindy Stadium di Cardiff. Un bel centro sportivo, con annessa piscina. Curiosità: la pista è lunga ben 460 metri (il Vigorelli ne misura 397) e le curve, appena 25 gradi di inclinazio­ne, sono perfette per non spaventare i «novizi». Da qui è passata una generazion­e di campioni olimpici, anche più giovani di lui, come Owain Doull ed Elinor Barker, entrambi olimpionic­i nel quartetto uomini e donne. Thomas non è Wiggins, non ha il fisico del Baronetto, suo grande amico negli anni di allenament­i a Manchester nel velodromo coperto della Federazion­e (allora diretta da Brian Cookson), Centro britannico di alta performanc­e, dove è stato indirizzat­o una volta scoperte le sue qualità a Cardiff. Il Signor G è alto 1.83 e pesa 70 chili; Wiggo è 1.90 e pesa pure qualche chilo in meno, quando si allenava d’estate nella fornace di un garage per simulare le condizioni di gara.

La vita di Geraint è stato il quartetto, cioè la prova che su 4 km lega il tuo destino a quello dei tre compagni: gelosie non ci possono essere, altrimenti non si finisce il primo giro. Due ori olimpici (Pechino 2008 e Londra 2012) e tre Mondiali erano il suo biglietto da visita, prima del Tour. Una vita (anche) per gli altri, su pista e su strada. E una forza mentale per non esserne schiacciat­o.

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