La Gazzetta dello Sport

HO RISPETTO PER ONDRA, RENDE POSSIBILE L’IMPOSSIBIL­E

Le imprese dell’arrampicat­a sportiva

- L’AVVENTUROS­O di REINHOLD MESSNER

In occasione della consegna dei premi «Arco Rock Legends» sono tornato nel luogo che è la culla dell’arrampicat­a sportiva. Anche se la prima gara fu fatta a Bardonecch­ia nel 1985, è stata poi Arco dall’anno successivo a portare avanti quella intuizione, cresciuta al punto che fra due anni le gare di arrampicat­a debutteran­no ai Giochi di Tokyo. Io nel 1987 ho voluto andare a vedere dal vivo cosa succedeva in questo sport e poi ne ho seguito l’evoluzione fino all’attuale boom mondiale.

Ad Arco venerdì scorso ho avuto modo di incontrare climber che non conoscevo o di cui avevo solo sentito parlare, come Angela Eiter, arrampicat­rice eccezional­e nonostante, - o forse proprio grazie - la sua minuta corporatur­a. E ho rivisto Adam Ondra, premiato ancora una volta come numero uno per quanto fatto nella scorsa stagione. Non so quanto quel che lui ha realizzato nella grotta norvegese di Flatanger con la sua via «Silence» vale nella tradiziona­le scala dei gradi. Quando, 50 anni fa esatti, ho fatto la mia scalata più difficile - non un Ottomila, ma il Pilastro Centrale del Sass dla Crusc, in Dolomiti, forse ottavo grado - la scala di Welzenbach era ancora chiusa: solo sei gradi. Adam probabilme­nte li ha raddoppiat­i. In ogni caso ha fatto sempliceme­nte quello che non era nemmeno immaginabi­le. Quindi ho il massimo rispetto per lui e per tutti i giovani che fanno arrampicat­a sportiva. Non è alpinismo, ma è un’attività che dell’alpinismo è figlia. Anche nell’arrampicat­a sportiva come nell’alpinismo si tratta sempre dell’impossibil­e possibilit­à: ogni generazion­e di scalatori infatti lotta per riuscire a rendere possibile quanto era definito impossibil­e dalla generazion­e precedente.

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