La Gazzetta dello Sport

MILAN COME IL BAYERN ALTRO CHE NOSTALGIA

- di NINO MINOLITI

La storia siamo noi. Gattuso, Leonardo, Maldini e da settembre anche Kakà. Il nuovo Milan di Paul Singer e Paolo Scaroni comincia riannodand­o i fili con un passato glorioso (e nemmeno lontanissi­mo), un passato da vero Milan. Non è un’operazione nostalgica o un modo per accaparrar­si la benevolenz­a della piazza: nello stesso tempo, sono stati ingaggiati Higuain e Caldara, il centravant­i che mancava e un talento difensivo, segno che c’è la volontà concreta di riportare il club rossonero dove gli compete. I nomi dei campioni di ieri non servono a mascherare i buchi di oggi, sistemati invece con un mercato di spessore. Una scelta che sembra guardare all’indietro è in realtà proiettata verso il futuro: i giocatori, soprattutt­o i più giovani, che guarderann­o verso Gattuso e Kakà, Leonardo o Maldini avranno immediatam­ente la percezione di ciò che significa indossare la maglia rossonera, maglia che quegli uomini hanno contribuit­o a rendere grande e rispettata in tutto il mondo e che ora loro dovranno onorare con lo stesso impegno, nella speranza e con l’ambizione di poter entrare a loro volta, un giorno, nel pantheon della società. È questo il senso di appartener­e a un grande club: fare parte di una storia che continua e scorre come la vita, riassumend­o in sé tutto un mondo - dirigenti, calciatori, tifosi che non può e non deve essere ridotto soltanto a denaro e spettacolo.

Il motto della gente del Bayern, un club che è un modello non soltanto sportivo, è «Mia San Mia», noi siamo noi nell’antico dialetto dell’orgogliosa Baviera. «Noi siamo noi» urlò Pep Guardiola, salutando i tifosi tra le lacrime dal balcone del Rathaus di Monaco al momento del congedo: era rimasto solo tre anni, ma lo spirito di Säbener Strasse gli era entrato dentro. E chi tramanda quello spirito? Franz Beckenbaue­r, la leggenda, presidente onorario. Uli Hoeness e Karl Heinz Rummenigge, massimi dirigenti operativi. «Brazzo» Salihamidz­ic, direttore sportivo. Xente Lizarazu e Giovane Elber, ambasciato­ri per l’estero. L’ex portiere Raimond Aumann, incaricato dei rapporti coi fan. Tutti uomini che hanno costruito, pezzetto per pezzetto, vittoria dopo vittoria, il mito del club più forte della Germania, stabilment­e tra i grandi d’Europa, punto di riferiment­o del calcio mondiale. Chi ha un grande passato alle spalle, possiede un tesoro che non può e non deve essere sprecato. L’identità si costruisce e si rafforza attraverso la tradizione e la continuità, è forza propulsiva verso nuovi successi, come insegnano anche il Barça e il Real Madrid, che hanno pescato e pescano ancora nel serbatoio dei grandi ex - da Guardiola a Del Bosque, da Zubizarret­a a Butragueño, da Guti ad Abidal - per trovare allenatori, dirigenti e uomini-simbolo.

In un calcio che cambia a velocità supersonic­a e che sembra macinare tutto nella continua ansia di spostare sempre più in alto l’asticella dei guadagni, la gente che va allo stadio o si mette davanti alla television­e - e che alla fine, di tutto questo circo, è probabilme­nte il vero elemento insostitui­bile, perché senza di essa nulla vi sarebbe - ha bisogno di trovare rocce su cui poggiare la propria fedeltà a una maglia, pilastro di ogni passione calcistica. Sarà anche un’illusione un po’ infantile, destinata spesso a essere tradita, ma in fondo la fortuna del calcio è stata e sarà sempre quella di farci tornare per un’ora e mezzo bambini con l’unico pensiero di veder vincere la propria squadra. E i bambini, si sa, hanno bisogno di favole.

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