«A Tokyo possiamo conquistare il mondo»
●Il c.t. Villa: «Sono soddisfatto. Sotto con due anni di lavoro duro»
«Il bilancio di questo Europeo è più che positivo. Qui era importante, al di là delle medaglie, partire con il piede giusto verso Tokyo 2020». Marco Villa, il c.t. della pista uomini, parla con la sua consueta pacatezza ma da piccole sfumature si capisce che è molto soddisfatto.
Il quartetto fa sognare, ma realisticamente fin dove può arrivare?
«Lontano, lontanissimo. A una medaglia olimpica. Si, anche all’oro. Se con tre giorni di allenamento facciamo 3’54”-3’55” vuol dire che possiamo sognare in grande. Abbiamo tempo due anni per lavorarci. In mezzo ci sono altri due europei e due mondiali, dodici prove di Coppa di cui le sei migliori serviranno per il ranking. Un periodo lungo».
Soprattutto un inverno lungo, senza velodromo
«Indubbiamente difficile, ma inutile piangerci addosso. Ci arrangeremo con dei sacrifici, qualcosa studieremo. Possiamo fare qualcosa di diverso? No. Poi, dal Giro 2020 all’Olimpiade ci sono più di due mesi. Il tempo per lavorare ci sarà».
Nell’Americana non siamo mai stati in lotta per una medaglia
«Ero un po’ preoccupato per questa gara. Lamon una gara sui 50 km non l’ha mai fatta. Ha vinto in Coppa, ma li si corre sui 30. Comunque potremmo giocarci anche Viviani-Consonni. Importante è qualificarci».
Viviani proverà il bis nell’Omnium oppure andrà a caccia dell’oro nell’Americana che rientra nel programma olimpico?
«Non lo so, bisognerebbe chiederlo a lui. Di sicuro Elia vuole vincere con il quartetto. Noi per l’Omnium abbiamo anche Consonni che è bronzo Mondiale. Quando sarà il momento decideremo chi è il più adatto».
Ganna nell’inseguimento è stato sottotono
«Filippo non ha avuto tempo per preparare bene questa specialità. Non è un dramma».
Concludiamo con la nota dolente: nelle prove veloci (velocità, velocità olimpica e Keirin) non ci siamo. E anche queste gare fanno parte del programma a cinque cerchi
«Verissimo, siamo proprio lontani dall’essere competitivi. Questo credo sia colpa principalmente di una mentalità italiana sbagliata. Quando nelle categorie giovanili c’è un ragazzo potente le squadre lo usano per vincere i circuiti di paese. Quel corridore non passerà mai professionista, mentre magari si pista potrebbe avere un futuro. Questo all’estero lo capiscono, in Italia no».