La Gazzetta dello Sport

QUELLE DUE ITALIE IN VASCA E IN PISTA

I successi del nuoto e le delusioni dell’atletica

- NON SOLO CALCIO di FAUSTO NARDUCCI email: fnarducci@rcs.it twitter: Ammapp1

C’era rimasta negli occhi la spruzzata di medaglie nobili del nuoto in corsia e il risveglio con l’atletica — rimasta da sola a caccia di podi fra le discipline regine dell’Olimpiade — è stato brusco. È difficile parlare di un bronzo e ancora più arduo consolarsi con tre quarti posti dopo le 22 medaglie della vasca. Ieri in pista c’è stato l’apice della delusione perché alla medaglia della 4x400 donne (le pantere nere che avevano incantato i Giochi del Mediterran­eo) ci avevamo creduto. E Gianmarco Tamberi con il 2.28 al primo tentativo avrebbe raggiunto il podio in qualunque edizione precedente. Alla fine degli Europei, se resteremo con i bronzi di Crippa, Chiappinel­li e Palmisano, per l’atletica il bilancio sarà impietoso non solo nei confronti del nuoto, ma anche della precedente rassegna di Amsterdam. Lì, sia pure in un’edizione minore preolimpic­a, erano arrivati gli ori di Tamberi e della Grenot con il corollario di due argenti e tre bronzi.

Nonostante le premesse di una stagione che ci aveva illuso sul recupero della nostra atletica, purtroppo siamo in linea con il disastro dei Mondiali di Londra 2017, dove il bronzo della Palmisano aveva brillato da solo. Proprio Antonella, grintosa pugliese che nella preparazio­ne ha strappato ore preziose ai preparativ­i del prossimo matrimonio, è il simbolo positivo di questa Italia purtroppo di retroguard­ia nel medagliere. Anche perché a Berlino la premiazion­e della marcia è stata impreziosi­ta dall’idea vincente di consegnare le medaglie nella Breitschei­dplatz, dove proprio alla vigilia del Natale 2016 un camion maledetto aveva fatto irruzione fra le bancarelle del mercato natalizio provocando 12 morti, fra cui la nostra Patrizia di Lorenzo. Quella stessa piazza si è vestita a festa lungo l’European Mile in cui, fra due ali di folla, le marciatric­i sono andate a ricevere le medaglie davanti a un pubblico di eccezione. La stessa impression­e che ha dato ieri lo stadio Olimpico dove 60.000 spettatori entusiasti hanno applaudito imprese straordina­rie come quelle delle dinastie Ingebrigts­en e Borlee, due famiglie che da sole hanno vinto più medaglie della nostra Nazionale.

Una piccola Italia che può recriminar­e qualche episodio sfortunato, ma deve riflettere soprattutt­o sulla propria incapacità di migliorars­i nelle occasioni che contano, come ha fatto il nuoto a Glasgow. Una quindicina di finalisti a una giornata dalla fine, con una manciata di primati personali e stagionali e poco più della metà degli atleti che non hanno superato il primo turno, sono un bilancio minimo. Ora non è il caso di cercare colpevoli individual­i, ma bisognerà magari prendere ad esempio proprio il nuoto. In vasca gli Europei sono il traguardo della stagione e quasi tutti si migliorano, nell’atletica lo sforzo massimo si esprime nella fase di avviciname­nto e si arriva alle rassegne importanti spompati, con rari migliorame­nti. Un modello da seguire in casa atletica però c’è ed è quello di Daisy Osakue, la discobola finita nell’occhio del ciclone (è il caso di dirlo) ma capace di portarsi ai margini del proprio primato personale per un quinto posto che vale quanto due medaglie. Risalendo l’albo d’oro, bisogna tornare al 1958 per trovare un campionato europeo senza ori azzurri e anche questo deve far meditare. Come deve far riflettere questa formula che ha inglobato sette sport nella stessa rassegna penalizzan­do sul piano della visibilità discipline nobili come il canottaggi­o e la ginnastica o emergenti come il golf e il triathlon. Solo il ciclismo ha retto l’urto di atletica e nuoto ma per l’edizione 2022, se veramente approderà a Roma, bisognerà rivedere il calendario separando almeno l’atletica dal nuoto. Anche per non assistere a un altra sfida impari.

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