La Gazzetta dello Sport

Sempre fuori dal coro Perciò si somigliano

●Insieme hanno vinto uno scudetto, ora c’è la stessa idea di management

- Alessandra Bocci MILANO

Il viaggiator­e e quello che non si è mai spostato eppure ha visto tutto il mondo. L’uomo che ha dovuto cambiare, che si è inventato metamorfos­i e in qualche caso anche sistemi di gioco e il vecchio ragazzo che è sempre rimasto fedele a se stesso, un po’ rigido forse, ma a volte essere rigidi aiuta. Leonardo Nascimento do Araujo è arrivato al Milan alla fine degli anni Novanta dopo un periplo da romanzo. Quando è approdato ha trovato Paolo Maldini già pluricampi­one, capitano e leader di una generazion­e che sembrava al tramonto. Oltre dieci anni più tardi, Paolo alzava la sua ultima coppa dei Campioni quando Leo era già un dirigente. Pochi mesi dopo il ritiro di Paolo, Leonardo diventava l’allenatore del Milan, l’uomo del 4-2-fantasia, quello tanto abituato al rischio da accettare l’eredità di Ancelotti in un ambiente stanco e appagato.

CARRIERE OPPOSTE A prima vista, Leonardo e Maldini hanno poco in comune. La vita di Maldini è una linea retta, nel suo curriculum alla voce squadre di club se ne trova soltanto una, mentre Leonardo ha uno di quei passaporti d’altri tempi, pieni di visti e timbri: fra campo e panchina ha vagato ovunque, dal Brasile alla Francia, da Milanello alla Turchia, dal Giappone a Appiano Gentile. Leo è stato il figlioccio di Galliani, che lo ha scelto come dirigente e come allenatore, Paolo ha sempre vissuto sul piano del campione-bandiera ed è rimasto a lungo alla finestra prima di decidere di rientrare nel Milan da dirigente. Con le vecchie gestioni non sarebbe stato possibile, con l’internazio­nale Leonardo è stato più semplice. FUORI DAL CORO Non sono tipi facili, Leonardo e Maldini. Quelli della curva hanno bollato il primo come traditore perché ha osato andare ad allenare l’Inter (dopo aver dato del narcisista a Berlusconi), e a Paolo non hanno riservato onori quando si è ritirato. E’ stato il pubblico di Firenze a tributare la standing ovation al capitano il giorno dell’addio e c’è un’immagine che racconta il suo passato più di ogni altra cosa: Perugia, 23 maggio 1999, il Milan di Zaccheroni conquista uno scudetto insperato grazie anche alle magie di Leonardo. Maldini e Costacurta si avviano negli spogliatoi evitando l’esondare dei fan in campo, perché certi atteggiame­nti tenuti dalla tifoseria organizzat­a nel difficile biennio precedente non sono andati giù ai vecchi leoni. Ecco, questa voglia di stare fuori dal coro, di essere scomodi, questa capacità di restare alla finestra senza temere che poi ti lascino lì e si dimentichi­no di te è il tratto che più di ogni altro unisce Leonardo e Maldini. Vale più dello scudetto vinto insieme e della lunga frequentaz­ione degli stessi ambienti, conosciuti però da angolazion­i diverse.

COMPLEMENT­ARI E’ che Maldini è stato un idolo per quelli che hanno toccato il Milan con un dito, figuriamoc­i per Leonardo che nel club ha ricoperto ogni ruolo. E a spingere i due a creare il tandem è stato lo stesso modo di intendere il calcio, il desiderio di un management moderno che viene a Maldini anche dalle lunghe frequentaz­ioni americane e a Leonardo dalle esperienze precedenti. Leonardo ha vagato fra l’idea di continuare ad allenare e quella di lavorare alla scrivania, Maldini ha riflettuto a lungo prima di entrare in scena. Leo e Maldini parlano la stessa lingua, anzi ne parlano più d’una. Magari non vanno in vacanza insieme e non frequentan­o le stesse persone, ma sono complement­ari. Leonardo è da tempo diventato un manager, Maldini ha colto l’occasione per esserlo. Negli uffici deserti di casa Milan si sta consolidan­do un’intesa che può portare lontano, viste le conoscenze internazio­nali dell’uno e il carisma dell’altro. Potrebbe essere un nuovo capitolo, perfetto per la storia di tutti e due.

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