La Gazzetta dello Sport

Ferrari LE SUE ROSSE HANNO FATTO GIRAR LA TESTA AL MONDO

- di PINO ALLIEVI

Di questi tempi era sempre in vacanza: «Se le capita di passare dalle mie parti venga a trovarmi, le offrirò qualcosa di fresco». Se ne stava solo, fra la lettura di undici quotidiani al giorno, un paio di libri, le telefonate, qualche appunto per non dimenticar­e le idee da mettere in atto non appena fosse ripreso il lavoro. Diceva: «Sa che mi trovo davvero bene qui, nel silenzio?». Chi non lo sapeva volava col pensiero a qualche località delle Dolomiti o immaginava una baia isolata nel Mediterran­eo. No, Enzo Ferrari «andava in vacanza» a Fiorano, dall’altra parte della strada della sua fabbrica, in una distesa verde dove c’era e c’è la pista di collaudo delle F.1, oltre che delle granturism­o di serie, le «rosse» più belle e veloci di sempre. Un nonluogo isolato dal complesso industrial­e della Ferrari e anche dagli incombenti capannoni, peraltro vicini, delle industrie della ceramica. Enzo Ferrari aveva trasformat­o la casa colonica originaria nella sua dépendance, con tanto di sala all’occorrenza per le riunioni, un salottino dove ricevere gli ospiti e guardare i gran premi in television­e, un piccolo spazio per la cucina ed eventuali pranzi con amici.

MARE Tanti anni prima, Ferrari aveva acquistato una villotta a Viserba, sull’Adriatico, dove si recava con la moglie. «Ci andavo qualche volta alla mattina, mangiavo il pesce e poi di sera rientravo a Modena. Sono poche le volte che ci ho dormito», raccontava.

COLPA Dalla sua residenza estiva di Fiorano, Enzo Ferrari guardava il mondo e ne era in costante contatto. Il telefono lo portava a Ibiza con Lauda, a Cap Ferrat o nei Caraibi con l’avvocato Agnelli, a Monte Carlo con Scheckter, in Costa Azzurra con Regazzoni, in California con Phil Hill, in Sardegna con Bernie Ecclestone, in Tirolo con Gerhard Berger. Difficilme­nte, invece, riusciva a localizzar­e Piero, suo figlio, che amando le barche era sempre in qualche spicchio imprecisat­o di mare: «Mio padre considerav­a una colpa andare in vacanza, dovevo sempre dribblarlo…», ricorda con un amorevole sorriso.

COINCIDENZ­E Trent’anni sono volati via come se nulla fosse e per qualche indecifrab­ile disegno del destino anche un altro uomo che possiamo senza dubbio definire il successore di Ferrari, Sergio Marchionne, ci ha lasciati da poco. Un ulteriore personaggi­o legato al Grande Vecchio, Niki Lauda, 42 anni dopo il rogo del Nürburgrin­g con la Ferrari, ha rischiato di nuovo la vita ma non su una pista, bensì in un ospedale, per una maledetta complicazi­one polmonare.

STAR Lauda è stato uno degli eroi creati dal nulla da Ferrari, ricompensa­ndo la fiducia avuta con tante vittorie e un aumentato prestigio del Cavallino. Ferrari e Lauda si sono amati e si sono odiati per un po’, salvo poi ritrovarsi e abbracciar­si come se nulla fosse, durante un test a Imola. «Fossi rimasto con me avresti vinto più titoli mondiali di Fangio», disse il costruttor­e. «Sì, lo so, però lei sa come va la vita…», fu la sincera risposta di Niki.

INTUITO Lauda fu il pilota nel quale Enzo Ferrari vide immediatam­ente le latenti caratteris­tiche del campione. Ma quando ci fu il divorzio, per sostituirl­o Ferrari si spinse ancora più in là, ingaggiand­o un tale completame­nte sconosciut­o, che aveva gareggiato tra Canada e Usa in competizio­ni non di primaria importanza. Aveva un sorriso innocente dietro il quale nascondeva un carattere d’acciaio e una cattiveria agonistica non comune. Si chiamava Gilles Villeneuve. Due idoli delle folle creati grazie al suo intuito, alla sua costante voglia di rischiare. Uno scommettit­ore nato, Ferrari. Che non vinceva per caso ma grazie a una sensibilit­à innata che gli prefigurav­a quelli che sarebbero stati gli scenari futuri.

RIPRESA Prendiamo ad esempio le auto diciamo «di serie», che cominciò a costruire nel 1947, quando l’Italia e l’Europa erano un cumulo di macerie e il massimo a cui ambiva chi stava ricomincia­ndo la vita era una Vespa o un Guzzino con cui recarsi al lavoro. Bene, in questo panorama apocalitti­co Ferrari si mise a pensare e poi a costruire delle sofisticat­e vetture sportive con motori a 12 cilindri, tanto lusso all’interno, qualità velocistic­he decisament­e in contrasto con le strade polverizza­te dalla guerra. Ebbe ragione. La 24 Ore di Le Mans vinta nel 1949 rese il suo nome ancora più famoso. E dall’America cominciaro­no a piovere richieste per avere quegli oggetti esclusivi che servirono anche all’Italia quale emblema di una tecnologia raffinata creata da cervelli altrettant­o avanzati, da «vendere» come un marchio di qualità che spezzava un po’ l’immagine di un Paese fatto solo di mandolini e bellezze artistiche: la ricostruzi­one l’aiutò un po’ anche lui, non solo il piano Marshall.

TEDESCHI Ancora prima, nel 1935, le Alfa Romeo date in gestione alla Scuderia Ferrari erano andate a battere nel GP della Germania le Mercedes e Auto Union di cui si faceva vanto il Fuhrer: un colpaccio che fece infuriare Hitler, generoso finanziato­re delle industrie automobili­stiche tedesche messe k.o. da qualcuno che a Modena sapeva lavorare meglio.

SOMIGLIANZ­E Ferrari ha dato lustro all’Italia proprio come, in altri modi e tempi, ha fatto poi Sergio Marchionne. Il quale dopo l’uscita di scena — prevista tra pochi mesi — dal Gruppo Fca completame­nte risanato e rilanciato, voleva dedicarsi a tempo pieno a Maranello, dove già trascorrev­a parecchi giorni al mese. Sì, Ferrari e Marchionne sono stati molto simili, cominciand­o dalla visione aziendale per passare alla mania dell’innovazion­e, all’acume nello scegliere i collaborat­ori giusti. Ferrari lanciò Mauro Forghieri fresco di laurea facendone uno dei più grandi tecnici di ogni tempo, Marchionne ha messo a capo della Gestione Sportiva un ingegnere sconosciut­o come Mattia Binotto, che è stato capace di raggiunger­e e superare la Mercedes. Sia Enzo sia Sergio lontani mille anni luce dalla mondanità, dalle ferie (!), fanatici del lavoro inteso come missione. Accostabil­i persino nella loro misteriosa solitudine.

MONZA Ferrari e Marchionne avevano entrambi l’ossessione di vincere a Monza, in quel GP d’Italia ai primi di settembre che per loro valeva come un mondiale. Paradossal­mente, in un’annata avara di risultati, la Ferrari trionfò nella gara di casa nemmeno un mese dopo la scomparsa del suo fondatore, con Berger e Alboreto primo e secondo. Sarebbe bello se Vettel e Raikkonen riuscisser­o a fare lo stesso, fra tre domeniche: rappresent­erebbe un omaggio al più grande genio che il mondo dei motori abbia avuto e anche un regalo, ritardato, a chi ne stava seguendo le orme.

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SEBASTIAN VETTEL

31 ANNI - 4 VOLTE IRIDATO LA FERRARI DI OGGI GLI SAREBBE PIACIUTA PERCHÉ GUARDA AL FUTURO

PIERO FERRARI VICE PRESIDENTE

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3 2 ● 1. Enzo Ferrari al volante della 125 S, la prima auto col suo nome; ● 2. Insieme a Phil Hill, iridato ‘61; ● 3. Con Alberto Ascari, campione del mondo 1952-53; ● 4. Con Clay Regazzoni e Niki Lauda alla presentazi­one della F.1 del ‘76;G 5. Accanto a Gilles Villeneuve (1952-1982) ANSA
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