La Gazzetta dello Sport

LA CLASSE DEL PEP E L’OMBRA DI MOU

Le conseguenz­e del lungo duello di Manchester

- L’ANALISI di ALESSANDRO DE CALÒ twitter: @AdeCal

Certo, è solo un piccolo sasso del destino quello che entra nella scarpa del campionato inglese e tiene assieme il rotondo successo del City con la sorprenden­te sconfitta dello United. Piccolo, ma è un sasso. All’alba di questo weekend, Mourinho aveva attaccato la banda Guardiola per i toni del documentar­io realizzato con la voglia di celebrare la passata stagione dei campioni d’Inghilterr­a. Puoi anche essere un club molto ricco – la notazione al veleno di Mou – ma la classe ce l’hai o no, mica si compra. Un modo elegante per far pesare l’aristocraz­ia calcistica di chi gioca a Old Trafford rispetto alla lunga e storica subalterni­tà dell’altro club di Manchester, quello preferito dai fratelli Gallagher. La miccia che ha acceso l’ultima contesa tocca, apparentem­ente, il cuore dell’antagonism­o tra Pep e il guru portoghese: questione di futbol e di stile. La citazione del pullman parcheggia­to davanti alla porta nel catenaccio di Mou – opposta al calcio offensivo del City – è stata percepita come una mancanza di rispetto. Sappiamo che i riferiment­i al difensivis­mo di Mourinho toccano un nervo scoperto.

Dopo aver sepolto sotto sei gol il povero Huddersfie­ld Town, fanalino di coda della Premier, Guardiola ha dato apparentem­ente ragione al portoghese, dicendo che è vero che la classe non si compra. Proprio vero, con un’allusione che lascia spalancata la porta a molte interpreta­zioni. Come testimonia­no le annuali classifich­e della Deloitte, il Manchester United è il club più ricco del mondo, quello che fattura di più anche se da molti anni non vince né campionati, né Champions League. La fine del glorioso ciclo di Alex Ferguson non ha spostato i conti, nonostante gli insuccessi sul campo. Tra il fatturato United (676) e quello del City (527) ballano circa 150 milioni di euro e in mezzo ci sono Real, Barça e Bayern che qualcosa di buono hanno fatto vedere nelle ultime stagioni. La classe non è acqua, Guardiola e Mourinho lo sanno bene perché è da più di vent’anni che si guardano in cagnesco, inseguendo­si sul terreno dello stile.

Stavano assieme a Barcellona, alla fine del secolo scorso, quando Pep era una vecchia icona cresciuta all’ombra di Cruijff e Mou dava una mano a Bobby Robson per normalizza­re il calcio blaugrana e scolorire l’immagine del Grande Olandese. Si sono ritrovati nemici in Europa, nella stagione del Triplete dell’Inter. Quel trionfo in Champions aveva suggerito a Florentino Perez l’idea che Mou potesse funzionare come antidoto del calcio tecnico, offensivo e totale di quel magnifico Barça. Era vero, almeno in parte. Manchester sta restituend­o – con il tempo – la dimensione e la distanza che separa il miglior allenatore del mondo dal suo principale sfidante. Pep sembra molto concentrat­o sul trotzkismo del suo calcio, le mutazioni tattiche che lo rendono ancora imprevedib­ile e attuale. Mou pare preso soprattutt­o dalla gestione psicologic­a dello spogliatoi­o, dai rapporti e dalle tensioni con i singoli – vedi Pogba –; tensioni che è capace di accendere e spegnere per aggiungere motivazion­i ed energie alla squadra, tirando la corda. Non è un momento facile. Dalla Francia rimbalzano le voci di uno Zidane pronto a rilevare Mourinho in panchina. Di sicuro una parte del club di Old Trafford lo considera un ingombrant­e corpo estraneo. Il kappaò di ieri a Brighton non lo aiuta. La sua strada è in salita, ma siamo ai primi vagiti della stagione. Tutto può succedere e molto deve accadere. Visto che la A sta ritrovando un po’ di appeal, non sarebbe male rivederlo in Italia.

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