La Gazzetta dello Sport

La Var va usata di più Troppi episodi dubbi

Fa discutere il mancato utilizzo sui casi di Torino e Inter

- Alessandro Catapano MILANO

Seconda stagione della Var, prima giornata, ripartono le polemiche. Ma come? Dovevano definitiva­mente scemare e invece riprendono quota? Logico, è cambiato l’obiettivo, c’è stato un upgrade: oggetto delle discussion­i non è più l’arbitro, ma il suo collega davanti al video che non gli suggerisce di rivedere, anzi «revisionar­e» dice il protocollo ufficiale, in sostanza di tornare sui suoi passi. Perché Valeri, il var di Sassuolo-Inter, non ha suggerito a Mariani di rivedere il contatto tra Magnanelli e Asamoah? E perché Massa, l’assistente video di Torino-Roma, non ha sussurrato a Di Bello di tornare sul contatto tra Iago Falque e Fazio? Nonostante i regolament­i – testi sacri, per carità –, alla fine è sempre questione di punti di vista. Qual è domanda che si pone il Var nei secondi concitati in cui deve decidere se suggerire o meno al collega la revisione video? «La sua decisione era chiarament­e sbagliata?». Qual è la domanda che in quegli stessi secondi si fa un tifoso, allo stadio o a casa, mentre riguarda le immagini? «La sua decisione era chiarament­e giusta?».

MARE DI GRIGI Sulla voglia di trasparenz­a, evidenteme­nte, tutti d’accordo. Ma sono opposti gli approcci a quella che si candida a diventare la questione calcistica della stagione, e in mezzo c’è un mare di sfumature di grigio dove hanno uguale dignità il potere degli ufficiali di gara di autoassegn­arsi un errore e di stabilirne pure l’entità; e il diritto dei tifosi di chiedersi se senza ombra di dubbio – anche queste sono parole chiave – l’arbitro abbia preso la decisione corretta. I regolament­i sono chiari e vanno rispettati, ma lasciano margini più o meno ampi alle interpreta­zioni, quindi a discussion­i, dibattiti, polemiche.

FIDUCIA E in questa zona franca, ci si pone un interrogat­ivo: come la mettiamo se il potere di stabilire se ha commesso un errore ce l’ha solo l’arbitro o il suo assistente al video, cioè un suo collega? Bisogna fidarsi, ovvio. Non è facile, se ritieni di essere in credito con gli arbitri da quando è stata introdotta la Var. Se, come nel caso del Torino, ti è capitato più spesso di non essere aiutato dalla tecnologia di fronte a episodi dubbi, perché non è intervenut­a, o dopo errori chiari, che il video ha smascherat­o. Coincidenz­e sfortunate, che il d.s. Petrachi ha sottolinea­to, specifican­do che l’oggetto delle sue rimostranz­e era il var Massa, non l’arbitro Di Bello. Coincidenz­e che non devono mettere in dubbio l’imprescind­ibilità del contributo tecnologic­o né bastano a contestare le modalità del suo utilizzo.

Ma aiutano a perdere lucidità e a reagire in modo scomposto. Il diverso background, non gli episodi in sé, domenica ha fatto reagire Luciano Spalletti in un modo – sobrio e misurato – e Walter Mazzarri in un altro, rabbioso e scomposto, appunto. L’allenatore dell’Inter ha incassato le certezze di Mariani – l’intervento di Miranda su Di Francesco era da rigore, quello di Magnanelli su Asamoah no (anzi, era fallo del ghanese) –, il tecnico del Toro non ha digerito la sicurezza di Di Bello: il contatto tra Fazio e Iago Falque non meritava l’intervento del Var.

BLASFEMO Per i nostri arbitri, ça va sans dire, quanto è accaduto nel primo weekend della stagione 2018-19 non avrebbe meritato tanto dibattito. Il bilancio che il designator­e di A Nicola Rizzoli ha fatto delle prestazion­i dei suoi ragazzi è altamente positivo: buoni arbitraggi, corretto e uniforme utilizzo del Var. Ai suoi occhi, discutere di interpreta­zioni, valutazion­i, sfumature di grigio, suona perfino blasfemo. C’è un protocollo, va rispettato. E se si comincia a metterlo in dubbio – sussurrano – il campionato «finisce a gambe all’aria».

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LAPRESSE L’arbitro Marco Di Bello di Brindisi, 37 anni, in Serie A dal 2014

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