La Gazzetta dello Sport

Giù le bandiere: l’estate ha cambiato San Antonio

●Due anni fa la partenza di Duncan, ora gli addii di Ginobili, Parker e Leonard: si chiude un’era, si riparte da Belinelli e Popovich

- Davide Chinellato

L’ultima bandiera si è ammainata. E gli Spurs, in un’estate, hanno perso tutte le loro certezze. Il ritiro di Manu Ginobili non chiude solo la carriera di una leggenda, dell’eroe dei tre mondi che a San Antonio, in 16 anni e con 4 anelli, è diventato mito. È anche la fine ufficiale dell’era dei Big Three, di Tim Duncan, Tony Parker e del monumento argentino che hanno scritto le pagine più belle dell’epopea di San Antonio, vincendo insieme quattro dei cinque anelli della storia texana. «Della squadra che ha vinto il titolo ora siamo rimasti solo io e Patty Mills. Oltre a Pop, naturalmen­te» ricordava Marco Belinelli. Parlava del 2014, quattro anni fa: sembra passata un’era geologica. L’ESTATE DEGLI ADDII Tim Duncan se n’era già andato due anni fa. In silenzio, come nel suo stile, riprendend­o la parola solo per vedere il suo numero 21 salire sul soffitto dell’At&t Center. Tony Parker nella free agency di luglio ha preso la via di Charlotte, convinto dal biennale degli Hornets, dalla voglia di una nuova sfida e dalle poche certezze di San Antonio, che lo voleva per un solo anno per fare da mentore a Dejounte Murray: era in Texas dal 2001. Il divorzio da Kawhi Leonard, mvp delle Finals 2014, è stato il momento meno Spurs dell’era Gregg Popovich: perché il taciturno esterno era l’erede designato dei Big Three, la nuova stella attorno a cui Pop stava costruendo il futuro vincente di San Antonio. Taciturno come Duncan, capace di essere incredibil­e sia in attacco che in difesa. La

sua voglia di diventare star non solo in campo, alimentata dai consigli dello zio, lo ha spinto alla rottura con Popovich dopo le incomprens­ioni della passata stagione, durata appena 9 partite per un infortunio considerat­o guarito a dicembre dalla squadra, mai completame­nte

riassorbit­o dal giocatore. A metà giugno la richiesta di cessione, possibilme­nte ai Lakers, col contratto in scadenza la prossima estate spada di damocle sul potere di trattativa Spurs. A fine luglio la cessione, a Toronto, con diplomatic­o «grazie e arrivederc­i» di Popovich. Ora l’addio

di Ginobili. Diverso dai primi due, perché Manu smette e lo fa da Spur, da leggenda, da mito. Ma fa male comunque.

I NUOVI SPURS A San Antonio non restano i ricordi. Resta la struttura di una franchigia esemplare, di uno stile tutto duro lavoro e famiglia (quello che ha convinto Belinelli a tornare) che era e resta punto di riferiment­o per tutta l’Nba. Resta Gregg Popovich, il santone che ha trasformat­o un piccolo mercato nella franchigia più vincente degli ultimi 20 anni. Ma con la bandiera Ginobili che scende dal pennone, gli Spurs hanno definitiva­mente perso le certezze. È vero che c’è ancora LaMarcus Aldridge, dopo due anni finalmente all’altezza del giocatore che ha convinto Popovich ad andare a caccia dei free agent. È vero che nell’affare Leonard da Toronto è arrivato DeMar DeRozan, esterno dal canestro facile che arriva a San Antonio col dente avvelenato per essere stato sacrificat­o dai Raptors. Ma gli Spurs con Manu chiudono l’era più vincente della loro storia, ed è difficile immaginarl­i prendersi come sempre un posto tra le prime quattro della Western Conference, resa ancora più infernale dal trasloco ai Lakers di LeBron James. Sì, l’estate a San Antonio ha proprio cambiato tutto.

2

NUMERO

I giocatori rimasti a San Antonio dal titolo del 2014: Marco Belinelli e Patty Mills

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy