I RAGAZZI CRESCONO SE C’È UN SISTEMA
Dopo il grido d’allarme del c.t. Mancini
Niente di nuovo sul fronte delle convocazioni. Come Lippi, Donadoni, Prandelli, Conte e Ventura, come tutti insomma, anche Roberto Mancini non poteva risparmiarsi il grido di dolore contro l’«invasione» degli stranieri che soffocano gli italiani. Un c.t. ha più o meno il 30% di selezionabili, cifra in caduta libera, quindi bisogna aver coraggio e far giocare i giovani «che sono spesso più bravi». Altrimenti — è implicito — domani non ci sarà neanche bisogno di preparare le convocazioni: di azzurri ne avremo giusto quella ventina da chiamare a Coverciano. Tanti stranieri, pochi giovani e crisi della Nazionale. Un’equazione però da ricalcolare.
Premesso che Mancini non sfugge alle contraddizione dei predecessori — i quali nei club schieravano i migliori, non necessariamente i giovani italiani, prima di diventare c.t. e cambiare idea — non si può sottovalutare il pericolo di un impoverimento irreversibile delle nazionali, soprattutto nei sistemi impreparati come il nostro. Inoltre è vero che non sono tutti CR7: molti stranieri precedono i nostri giovani per ragioni che non hanno niente di tecnico. Bernardeschi, Berardi, Barella, quelli bravi bravi, devono giocare. Nell’interesse comune. Ma prendersela genericamente con «l’invasione straniera» non fa altro che perpetuare l’errore nel quale non vedeva l’ora di cadere anche il vicepremier Salvini: «Bisogna limitare gli stranieri».
Peccato che non si possa fare: un politico che frequenta Bruxelles dovrebbe saperlo. Ma sulla questione, questa sì populista, si sono scottati in tanti e ben più illustri, compreso un animale politico quale Sepp Blatter che, da presidente Fifa, ripeteva ogni giorno l’indispensabilità del «6+5», finché qualcuno non lo riportò sulla Terra. Detto tra noi: sì, il «6 nazionali+5 stranieri» potrebbe garantire meglio l’equilibrio tra le esigenze di libera circolazione e di abbattimento delle frontiere e quelle della specificità dello sport. Ma l’Unione Europea discute invano del tema da decenni, prendendosi e prendendoci in giro su una specificità che non si vede.
E quindi i rimedi devono essere altri. Si chiamano programmazione, investimenti, visione, pazienza. Non mancano gli esempi da Paesi nei quali la percentuale di stranieri e il coefficiente di integrazione sono più alti che in Italia. La Francia ha vinto due Mondiali e un Europeo con una straordinaria nazionale «meticcia» nella quale i giovani di origine straniera, ma francesi di sangue, di «suolo», di cuore, sono stati l’asse portante. In Russia, la coppa l’ha sollevata una squadra dall’età media molto bassa, che potrebbe ripresentarsi quasi la stessa in Qatar. Lo stop tedesco al Mondiale, una normale fase ciclica discendente, non può far dimenticare il lavoro tecnico, tattico, agonistico, diciamo pure culturale, dell’ultimo decennio. Al quale, parole Figc, ci siamo ispirati.
Pur non essendo all’anno zero, però, siamo ancora lontani, cominciando dai centri federali le cui potenzialità sono inespresse. D’altra parte le priorità del sistema politico sono elettorali. Da mesi la macchina s’è inceppata su candidature, nomi, cordate, percentuali, mentre la Figc è stata commissariata. Per fortuna il calcio è anche tecnica naturale, Dna, improvvisazione: dalle giovanili, dove tutti i colori si stanno combinando sotto un ombrello azzurro, arrivano risultati, nomi e speranze di una futura Nazionale giovane, moderna, «alla francese».