La Gazzetta dello Sport

«Bisogna investire Qualità migliorabi­le»

- Marco Calabresi

Più delle quattro giovanili su quattro (dalla Primavera all’Under 15, record condiviso con la Juve) almeno in semifinale per lo scudetto, c’è un dato che fa impression­e, e arriva dal basso: nelle prime convocazio­ni della Nazionale Under 16, che si è radunata la scorsa settimana, di 22 ragazzi ce n’erano 9 dell’Atalanta. «C’è grande orgoglio da parte nostra – dice il responsabi­le del settore giovanile, Maurizio Costanzi –. Per la crescita dei ragazzi, è fondamenta­le il primo lavoro di impostazio­ne tecnica e culturale. Per il resto, c’è bisogno di una profonda riforma».

Mancini ha ragione a dire che gli italiani giocano poco?

«La sua è stata una provocazio­ne intelligen­te, diretta a chi deve fare scelte per tutto il movimento. Bisognereb­be sedersi a un tavolo e discuterne tra chi è chiamato a programmar­e il futuro dei settori giovanili in Italia. Siamo un popolo che va ad affrontare i problemi quando i buoi sono già scappati dalla stalla. Si pensa molto alle prime

squadre e poco a quello che c’è sotto».

L’estate del calcio italiano non ha aiutato.

«In Serie B sono diminuite le squadre e così l’assorbimen­to di giovani. In C si fanno giocare i giovani per avere gli incentivi sui minutaggi e sopravvive­re economicam­ente. Non sono soluzioni propositiv­e».

Ma c’è qualcosa di positivo?

«I risultati delle Under 19 e 17 testimonia­no come le Nazionali e i club stiano lavorando bene. Fino a quella fascia di età il lavoro è competitiv­o con gli altri paesi: il problema nasce dopo l’Under 21».

GLI ITALIANI GIOCANO POCO? PROVOCAZIO­NE INTELLIGEN­TE

MAURIZIO COSTANZI RESPONS. VIVAIO ATALANTA

Qualità, coraggio, programmaz­ione: cosa manca di più?

«La qualità si può migliorare, il coraggio si può trovare. La programmaz­ione va totalmente rivista e strutturat­a. Sui settori giovanili devono esserci investimen­ti: gli esempi in Italia non sono tantissimi, qualche società dovrebbe dedicare parte dei propri bilanci a quello».

Le seconde squadre sembravano essere il rimedio a tutto. E invece...

«Non ne ho capito le finalità. Inserendo le seconde squadre in Serie C, si corre il rischio di creare un altro mercato, per raggiunger­e risultati e non sfigurare, più che per far crescere i giovani. Avrei preferito una Primavera U21 o U23, e un’U18 a fare da cuscinetto dopo essere usciti da quello che era il campionato Allievi: i giocatori forti vanno direttamen­te in B, le seconde squadre dovrebbero servire per far crescere chi è rimasto un po’ indietro».

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