La Gazzetta dello Sport

«Fondamenta­li le squadre B»

- MASSIMO ODDO

Campione del mondo con l’Italia nel 2006, campione d’Europa con il Milan nel 2007, allenatore giovane che fa giocare i calciatori giovani «se sono bravi». Massimo Oddo è una voce interessan­te per analizzare il tema lasciato da Roberto Mancini.

● Oddo, ha ragione il c.t.? «Sì, spesso i giovani italiani avrebbero lo stesso valore di stranieri che vengono preferiti anche per ragioni economiche. All’estero i calciatori costano meno, i migliori giovani italiani li prendono le grandi e così per le provincial­i è più convenient­e acquistare gli stranieri e magari rivenderli piuttosto che valorizzar­e i ragazzi che i top club mandano solo in prestito».

● Ma il livello dei giovani italiani adesso è cresciuto rispetto al recente passato? «Il livello si è alzato, ma non vale nemmeno la pena di fare questi calcoli. Ci sono annate

migliori e annate peggiori, ma il livello medio è sempre buono. In Italia i giovani ci sono sia tecnicamen­te sia tatticamen­te. Ma non si può negare che spesso non sono pronti».

● Perché?

«Perché restano troppo a lungo in Primavera dove si gioca un calcio diverso. Le squadre B sono fondamenta­li perché abituano i giovani a giocare con gli adulti. C’è una grande differenza. Quando giocavo nel Bayern eravamo in 22 in prima squadra e poi c’erano 5 aggregati che nel week-end scendevano in campo con la seconda squadra che faceva il campionato di Serie C. Sa chi erano questi cinque? Alaba, Muller, Kroos, Badstuber e Contento. Mica male? Grazie a quell’esperienza nella seconda squadra, due anni dopo erano prontissim­i».

● Mancini chiede coraggio, ma gli allenatori devono confrontar­si con i risultati. È un problema insormonta­bile?

«È inevitabil­e che gli allenatori pensino al risultato. Ma se hanno un giovane bravo e funzionale lo fanno giocare. Ecco perché dico che non è solo una questione tecnica o tattica, ma di quanto sono pronti i ragazzi che si affacciano alla Serie A. Dopo la Primavera del Milan io andai in Serie C perché non ero pronto per la A. È importante costruire un percorso di crescita che consenta ai giovani di arrivare in A quando davvero possono giocare senza problemi».

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