SOCCORSI IN ALTA QUOTA, MANEGGIARE CON ESTREMA CURA
Il caso degli incidenti «sospetti» e delle truffe sulle vette del Nepal
L’incidente dei giorni scorsi, nel quale sono morte sei persone e una è rimasta gravemente ferita, è l’ennesima, triste dimostrazione di quanto i soccorsi in quota con gli elicotteri siano una faccenda seria e delicata. La disgrazia è avvenuta proprio in Nepal, dove sono sotto accusa alcune agenzie e compagnie che avevano truffato le assicurazioni spacciando per operazioni di soccorso dei voli ai campi alti dell’Everest effettuati per scopi diversi e tutt’altro che gravi.
Numerosi i modi in cui le truffe sono state perpetrate. Dall’evacuazione di 3-4 persone fatta pagare come se si fosse trattato di altrettanti voli e non di uno solo, al trasporto fino a Kathmandu quando i «malati» erano curabili anche all’ospedale di Lukla. O storie peggiori, come la volontaria intossicazione alimentare (con lassativi) di trekker e alpinisti per provocarne il ricovero in compiacenti cliniche della capitale nepalese, con successiva presentazione alle assicurazioni di spese gonfiatissime. Ora il governo nepalese è intervenuto con nuove regole e punendo i truffatori. Non dobbiamo sentirci in diritto di puntare il dito contro la corruzione diffusa in quel Paese. Anche sulle Alpi non tutti i soccorsi sono «puliti». La cosa più mortificante è proprio il mancato rispetto per il lavoro serio e rischioso dei piloti. Volare in alta quota è operazione delicata. Nell’incidente di cui ho scritto l’elicottero è precipitato per scarsa visibilità, intrappolato dalle nuvole. E non si trattava del soccorso di ricchi «alpinisti della pista». Cinque dei morti erano nepalesi. In quel Paese, senza gli elicotteri intere valli sono raggiungibili solo con giorni e giorni di dura marcia.