La Gazzetta dello Sport

Tennis Djokovic, la rinascita sul monte di Cezanne

La «tirannia» tennistica di Nadal, Federer e Djokovic

- Foto: Novak Djokovic, 31 anni

Voltatevi indietro un attimo e riportate la memoria al 9 luglio 2007 oppure al 18 agosto 2008. Dove eravate? Che cosa stavate facendo? Se siete interessat­i alle questioni tennistich­e, possiamo venirvi in aiuto: la prima data è quella in cui, per la prima volta, Federer, Nadal e Djokovic occuparono (in quest’ordine) i primi tre posti della classifica Atp; la seconda, quella in cui il ranking vide per la prima volta Nadal numero uno, Federer numero due e Djokovic numero tre. Esattament­e la situazione fotografat­a ieri dopo gli Us Open. E sono passati più di dieci anni. Un’eternità capace di sconfigger­e perfino il logorio dello sport moderno, un’era indelebilm­ente marchiata da un terzetto di fenomeni che si è già guadagnato l’immortalit­à sportiva e che continua a macinare risultati e avversari come se il tempo si fosse fermato. Sempre e solo loro, Rafa, Roger e Nole, con qualche scappatell­a vincente dei Murray, dei Cilic, dei Wawrinka, dei Del Potro, piccoli graffi a un dominio che, adesso possiamo ben dirlo, non ha eguali nella storia del tennis. Nulla lascia pensare, nonostante l’età, le energie spese in oltre un decennio ai più alti livelli e le recenti vicissitud­ini fisiche, che qualcuno riesca a scalfirlo in tempi brevissimi, con la conseguenz­a che il prossimo anno potremmo avere i primi tre nella classifica degli Slam vinti (al momento Djokovic, terzo con 14, è alla pari con Sampras) appartenen­ti alla stessa epoca. Mai successo. È innanzitut­to la certificaz­ione della grandezza di Federer, Nadal e Djokovic, capaci di costruire record straordina­ri pur affrontand­osi tra di loro, cioè dovendo confrontar­si ciascuno con altri due avversari formidabil­i, tra i migliori di sempre (o forse i migliori, perché alla corsa adesso si è giustament­e iscritto anche il serbo). È vero, è un giochino che appassiona, ma che non ha fondamento tecnico: però immaginate dove sarebbero, negli albi d’oro, Roger, Rafael e Novak se anche uno solo di loro non si fosse affermato in questo periodo storico.

La prorompent­e resurrezio­ne di Djokovic, tra l’altro, ci dà la misura del perché, dietro a questi mostri, si sia bruciata un’intera generazion­e, la Lost Gen dei Raonic, dei Dimitrov e di tutti i nati nei primi anni ‘90: di fronte c’erano campioni irripetibi­li, ma soprattutt­o sono mancate testa e volontà. Nole, nel pieno dell’epopea di Federer e Nadal, lavorò e si sacrificò perché era convinto non fossero irraggiung­ibili. Ebbe ragione lui. Ora tocca alla Next Gen, seppur acerba, trovare i protagonis­ti che mentalment­e abbiano la forza per provare il sorpasso senza attendere l’inevitabil­e consunzion­e del trio magico. Perché è anche la spinta che non arriva da sotto a farli rimanere intoccabil­i. Insomma, non si vede ancora un McEnroe che possa scalzare Borg o un Becker che oscuri un Lendl. Ragion per cui i Federer, i Nadal e i Djokovic non hanno nessuna intenzione di mollare malgrado qualche tormento di troppo.

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