La Gazzetta dello Sport

Calciatore alla rovescia Dottor Cappellett­i lo chef del Padova che ama stupire

●La laurea, la passione per i fornelli, il nuovo ruolo: Daniel e il suo piccolo mondo

- Andrea Moretto PADOVA Daniel Cappellett­i, 26, terza stagione a Padova

Dottore in mediazione linguistic­a, chef per diletto, neo papà e giocatore per profession­e. La vita, toda joia, toda beleza, di Daniel Cappellett­i è sul campo da calcio, in famiglia e in cucina. Riduttivo archiviare il suo cambio di ruolo, nel Padova, da difensore a centrocamp­ista, perché dietro c’è tutta un’affascinan­te storia che ha il suo culmine in un’intuizione, prima del derby di Verona, di Pierpaolo Bisoli. L’allenatore, durante la riunione tecnica, chiama gli undici di partenza. C’è anche Cappellett­i, non a difendere, ma in mediana a suggerire al fianco di Pulzetti e a fare da diga quando serve: risultato ottimo ed esperiment­o ripetuto con successo contro il Venezia. Non se l’aspettava nessuno e forse nemmeno lo stesso Cappellett­i, che oggi però è il simbolo di un Padova duttile, ma allo stesso tempo efficace ed efficiente: «Sono troppo contento. Per anni ho fatto il difensore — racconta — ma era una sofferenza, avevo come il freno a mano tirato». Almanacchi e pagine di statistica aggiornino i dati: Daniel

Cappellett­i, nato il 9 ottobre 1991, ruolo centrocamp­ista. Ma se Bisoli l’aveva già provato in mezzo nel finale della scorsa stagione, bisogna tornare indietro di oltre 20 anni per conoscere da dove viene questa passione.

NO BASKET Cantù, terra di basket, un ragazzino già alto per i suoi 6 anni preferisce il calcio al canestro, ma nell’allenament­o d’esordio con il San Paolo si prende il primo rimprovero dall’allenatore: «Mi piaceva tenere la palla e non avevo un ruolo preciso». Il settore giovanile nel Como, il ritorno a casa dove a 16 anni fa l’esordio in Eccellenza nel ruolo di trequartis­ta, ma all’occorrenza anche mezzala o esterno alto: due gol nelle prime gare, la voce che si sparge, l’arrivo degli osservator­i. Un provino con il Milan (senza vedere da vicino il suo idolo Gattuso) e a 17 anni la valigia in mano direzione Palermo, dove è tra i protagonis­ti nel 2010 dello scudetto della Primavera.

COME BARZAGLI Il direttore sportivo del Padova di allora, Rino Foschi, lo vede e lo paragona al nuovo Barzagli. In quella stagione, con i veneti, è tra i più giovani di una squadra che con El Shaarawy sfiora la Serie A: «Un grande talento. Spesso lo portavo io al campo visto che non aveva la patente». Sassuolo, Juve Stabia e Südtirol per crescere, Cittadella per dare una svolta: due anni (retrocessi­one e riconquist­a immediata della B) e in mezzo il successo azzurro alle Universiad­i nella Corea del Sud. A Padova ci torna nel 2016 per un’altra sfida, vinta con una promozione e il sigillo finale della rete in Supercoppa a Lecce.

CENTROCAMP­ISTA PADOVA

Nel dicembre scorso, intanto, si laurea in mediazione linguistic­a alla Statale di Milano con una tesi sulle differenze tra calcio italiano e quello inglese. Come regalo la moglie Chiara (assieme a lui da dieci anni) gli regala una cena in un ristorante a tre stelle, anche se quello più bello è arrivato due mesi fa, con la nascita della piccola Gioia. E a completare il quadretto familiare c’è anche il cagnolino

CHE SOFFERENZA FARE IL DIFENSORE: COME SE GIOCASSI COL FRENO TIRATO

DANIEL CAPPELLETT­I

Kiwi. Forte in campo “Cappe”, come lo chiamano gli amici, è anche un talento (autodidatt­a) tra i fornelli: «Mi hanno detto in tanti che dovrei partecipar­e a Masterchef, ma ci penserò al termine della carriera». Legge libri di ricette, si informa sulle novità gastronomi­che, intanto però i suoi piatti stanno facendo il giro del web, a colpi di “mi piace” su Instagram (@danielcapp­elletti23) dove tifosi, giocatori e appassiona­ti del mondo culinario cliccano le varie prelibatez­ze: da pane e panelle imparato ai tempi della Sicilia alle più complesse linguine al pesto di melanzane (con tanto di hashtag #chefcappe), fino alla tartare di manzo battuta al coltello con burrata e tartufo nero. La sua specialità? Niente cappellett­i in brodo, giocando con l’assonanza del cognome, ma la pizza (l’ultima con brie, fichi e crudo). E siccome «la cucina non è solo mangiar bene, ma è anche condivisio­ne», ecco l’invito a cena per i compagni di squadra e famiglie, come è già successo tante volte. Non subito, magari, ma tra qualche mese quando la figlia potrà assaggiare, dopo lo svezzament­o, le pappe preparate dal papà.

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