La Gazzetta dello Sport

PRIVATI NELLO SPORT COMINCIAND­O DALLE PALESTRE

Il dibattito sui finanziame­nti allo sport

- di FRANCO ARTURI

L’ inchiesta della Gazzetta sul modello di sviluppo olimpico, nata dal botta e risposta Cairo-Malagò, risveglia un dibattito mai molto approfondi­to nel nostro Paese. Pier Bergonzi lo ha inquadrato ieri approdando all’importante suggerimen­to di offrire al capitale privato un ingresso diretto agli investimen­ti per la preparazio­ne olimpica.

L’inchiesta della Gazzetta sul modello di sviluppo olimpico, nata dal botta e risposta CairoMalag­ò, risveglia un dibattito antico, per la verità mai molto approfondi­to nel nostro Paese. Pier Bergonzi lo ha inquadrato ieri approdando all’importante suggerimen­to di offrire al capitale privato un ingresso diretto agli investimen­ti per la preparazio­ne olimpica. Molto opportuno. In attesa di scoprire il canale giusto, si potrebbe suggerire anche qualche diverso utilizzo degli stessi fondi, non meno utile. Per esempio nella direzione dell’edilizia sportiva, soprattutt­o scolastica. Se, come accade da anni nelle nostre città, la tal azienda «adotta» un’aiuola o un parco, non potrebbe fare la stessa cosa per una palestra scolastica che nessuno riesce a ristruttur­are convenient­emente? In cambio dell’intervento, l’azienda avrebbe il giusto ritorno di visibilità e, aggiungere­mmo, di gratitudin­e sociale.

Non a caso abbiamo evocato la via delle comunità e dell’impiantist­ica. Lì sta il vero problema, cioè nella divisione dei compiti. Per complesse e stratifica­te ragioni storiche, lo sport non è mai entrato nel sostrato culturale «ufficiale» del nostro Paese. E non è stato nominato nella Costituzio­ne. Del resto il presidenti­ssimo del Coni Onesti, ex partigiano, fu incaricato di sopprimere l’ente, incrostato di fascismo e razzismo, subito dopo la liberazion­e, cosa che per fortuna si guardò bene dal fare. Ma il peccato originale pesa ancora. Il compromess­o al ribasso, purtroppo ancora vigente, fu il seguente: lo Stato non si sarebbe occupato direttamen­te dello sport, né di base né di vertice, delegando il tutto proprio al Coni. Il quale accettò il patto del diavolo «per forza o per amore». Questo modello non esiste in alcun Paese evoluto. In Francia o Gran Bretagna lo Stato garantisce interventi struttural­i di base inesistent­i nel nostro contesto. E d’altra parte l’attività motoria nelle scuole ha uno spessore e una qualificaz­ione impensabil­e in Italia, dove il Coni deve (e vuole) contempora­neamente pensare alla medaglia d’oro olimpica e, per esempio, al cofinanzia­mento dell’introduzio­ne dei professori di educazione fisica nelle scuole primarie.

Da questo equivoco si esce soltanto attraverso un superament­o del nostro modello. Lo Stato si deve finalmente appropriar­e di ciò che gli compete in termine di cultura sportiva di base, di salute, di educazione civica. Avendo ben chiaro che per ogni miliardo investito in questo settore se ne risparmier­anno molti nel welfare sanitario: un Paese di sedentari e con un numero crescente di obesi è prima o poi costretto a spese assistenzi­ali molto elevate. Le medaglie, con un Coni sgravato da compiti impropri, verranno quasi da sé: siamo bravissimi in questo.

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