D’Aversa alla Conte martella il Parma operaio
●Il tecnico degli emiliani non molla mai. È caro amico dell’ex c.t. che segue come un mantra: «Se non sudi non ottieni nulla»
Lo descrivono poco propenso al sorriso, talvolta spigoloso, ma il ritratto non gli rende giustizia. Roberto D’Aversa è, molto più semplicemente, un allenatore che cura il minimo dettaglio e, se qualcosa non funziona, allora sì che si arrabbia; è uno che non si lascia andare al facile entusiasmo dopo una vittoria, non lo ha fatto nemmeno dopo aver battuto l’Inter a San Siro, e preferisce pensare all’ostacolo successivo; è uno che non incendia, con proclami o gesti, ma lavora per spegnere il fuoco e raggiungere quell’equilibrio che, secondo lui, dev’essere la principale dote di una squadra di calcio. Ora arriva al Tardini il Cagliari, e sarà un esame per il suo Parma che, partita dopo partita, sta imparando a conoscere la Serie A dopo essere risorta, in tre anni, dall’inferno dei Dilettanti. «Il successo di San Siro l’ho dimenticato in fretta - spiega D’Aversa - E anche i miei ragazzi. Non conta quello che hai fatto, ma quello che farai: è una regola che mi serve come bussola per navigare. Il nostro porto si chiama salvezza, lì dovremo approdare».
PARAGONE L’impressione, osservandolo sul campo d’allenamento e davanti alla panchina, è di essere di fronte a un piccolo Antonio Conte: un Conte di provincia, diciamo. D’Aversa martella i giocatori proprio come faceva (e fa) l’ex c.t., li tiene sulla corda, sa quando dare lo zuccherino e quando, invece, serve una strigliata. D’altronde per lui Conte è riferimento costante: sono amici da quando si sono conosciuti a Siena, una quindicina di anni fa, si frequentano, si sentono spesso al telefono, si scambiano opinioni e suggerimenti. Debuttante su una panchina di A, ma con le idee ben chiare in testa. D’Aversa è un integralista del lavoro: non stacca mai, è sul pezzo 24 ore su 24, si ritaglia qualche momento per la famiglia, giusto per non andare in tilt. E questo carattere da stakanovista gliel’hanno trasmesso i genitori, emigrati in Germania (papà autista e mamma sarta) per sbarcare il lunario e rientrati a Pescara quando lui aveva tre anni.
FATICA «Se non sudi, se non t’impegni, se non fai fatica, è difficile che tu possa ottenere qualche soddisfazione». E lui, fedele a questi principi, sta disegnando un Parma operaio, umile, determinato. «La prima cosa da conoscere sono i nostri limiti, poi bisogna allenarsi per superarli - spiega - Nelle prime quattro partite abbiamo offerto buone prestazioni, tranne quella contro la Spal. Ora dobbiamo trovare la continuità di rendimento». Evitando i pericolosi sbalzi d’umore che una vittoria o una sconfitta possono generare, «e qui dovrà essere l’ambiente di Parma a darci una mano, a non farci volare sulle nuvole e a sorreggerci nei momenti di difficoltà». Già, perché dopo l’1-0 di San Siro in città si sono ascoltati discorsi un po’ troppo sopra le righe, si è parlato addirittura di Europa League come possibile traguardo non ricordando che questa squadra è stata costruita in poco più di dieci giorni, a fine mercato, e con pochi mezzi economici. «Perdere energie per correre dietro ai sogni è un esercizio che non possiamo permetterci. Pensiamo al Cagliari e restiamo in equilibrio» conclude D’Aversa che spesso della mancanza d’equilibrio è stato vittima..
> «La prima cosa da conoscere sono i nostri limiti. Poi bisogna allenarsi per superarli»