La Gazzetta dello Sport

Mondiale di volley L’Italia pesca Serbia e Polonia

●Nato e cresciuto in città, tifoso granata, il c.t. azzurro che ha iniziato da schiacciat­ore ora torna per guidare l’Italia nelle Final Six

- Il c.t. Gianlorenz­o Blengini ROMANI

«Eccomi qua, sono venuto a vedere lo strano effetto che fa...». La «Valigia dell’attore» di Francesco De Gregori racconta alla perfezione lo stato d’animo di Gianlorenz­o Blengini. Il 46enne tecnico è partito da casa con una valigia piena di sogni, ora torna nella sua città per le ultime 4 sfide, gli ultimi 4 km di una salita che può valere la maglia iridata. Chicco, come tutto il mondo della pallavolo ha imparato a chiamarlo, da domani avrà l’onere e l’onore di questo privilegio. Una cosa unica: il Mondiale giocato nel proprio Paese con la fase finale nella città in cui è nato, cresciuto (da qualche anno si è trasferito a Salassa, nel Canavese), ha studiato, si è sposato e ha costruito famiglia. E dove si è formato prima da giocatore e poi da allenatore.

DAL GALFER ALL’UNIVERSITÀ L’infanzia di quello che poi diventerà il tecnico della Nazionale (nell’estate 2015 è subentrato a un altro torinese doc come Mauro Berruto) si divide tra la casa in Corso Duca degli Abruzzi e gli studi al Liceo Scientific­o Galileo Ferraris, quello che a Torino è conosciuto come il GalFer. Ma l’amore per lo sport a casa Blengini non è mai mancato e il giovane di casa inizia a muovere i primi passi nella pallavolo in una società storica: il Volley Parella (4 titoli Nazionali a livello giovanile). Ma nel suo cuore non c’è solo la pallavolo. In camera non possono mancare il poster del Torino («Il mio preferito è stato Leo Junior») e quello di Bruce Springstee­n.

L’INFORTUNIO Il colpo di fulmine con la profession­e di allenatore è questione di ore. «Giocava da schiacciat­ore con discreti risultati – racconta Gianluca Facchini, suo allenatore al Parella e ora presidente del club torinese —. Non era molto alto, ma sapeva farsi valere in campo e già si potevano percepire le doti di leadership e le attenzioni a certi particolar­i necessari per la carriera di allenatore». E il caso ha voluto che, per un brutto infortunio a un ginocchio, Chicco abbandonas­se le schiacciat­e iniziando ad allenare. «Partito dal settore giovanile è poi approdato in quella che allora, a metà Anni ‘90, per la nostra società era la prima squadra iscritta al campionato di serie D (oggi il Parella ha sia la squadra maschile sia quella femminile in serie B). Vinse il campionato e l’anno dopo c’era da fare la serie C. Era una squadra particolar­e, con dei bei caratterin­i. Mi disse: “Non c’è problema, li gestisco io”. Poi arrivò un’offerta alla quale non si poteva dire di no. L’assistente in A-2 alla pallavolo Torino».

VICE Nel 2000-2001 dunque Blengini diventa l’assistente di Mauro Berruto nella pallavolo Torino iscritta al campionato di A-2. La parabola del tecnico, che via via abbandona gli studi

universita­ri («Ero iscritto a Scienze Politiche, indirizzo Sociale e avevo sostenuto 12 esami» racconta), è così segnata. Nelle due successive stagioni segue il concittadi­no a Piacenza dove nella stagione 2003-04 arriva Julio Velasco. Un incontro che segna il futuro tecnico di Blengini. «Ha fatto la giusta gavetta imparando da tutti qualcosa – continua Facchini -. E finalmente è arrivata l’occasione di guidare l’A-1(a Vibo Valentia) e poi con gli anni la chance dell'Italia».

FAMIGLIA NEL

PALLONE La passione per il volley è condivisa da buona parte della famiglia. «La sorella Norma giocava da noi come schiacciat­rice. E la moglie di Chicco, Dorotea, ha giocato nel Parella: centrale poi spostata al ruolo di schiacciat­rice in serie

D». E ora i due cuori nella pallavolo seguono i primi passi nel minivolley di Greta, la figlia di 9 anni.

NON È UNA NOVITÀ Da Torino a Torino, la chiusura del cerchio per Blengini non sarà un salto nel buio. Per il tecnico, che nel 2016 ha guidato l’Italia all’argento olimpico, non sarà la prima volta da commissari­o tecnico in città. Chicco giocò il girone di qualificaz­ione dell’Europeo 2015 (poi bronzo a Sofia) al PalaRuffin­i. Da domani, in un teatro diverso — il PalaAlpito­ur —, crescerà l’emozione e salirà l’adrenalina per la posta in gioco. C’è un Mondiale da riportare in Italia, vent’anni dopo. Da provare a vincere nella sua città «per vedere lo strano effetto che fa».

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